MFormazione "il FIGLIO dell'UOMO" ARGOMENTO dalla STAMPA QUOTIDIANA
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FORMAZIONE
il FIGLIO dell'UOMO ONLUS - ASSOCIAZIONE CATTOLICA E-mail: studiotecnicodalessandro@virgilio.it Siti Internet: http://www.cristo-re.eu ; http://www.cristo-re.it; http://www.maria-tv.eu ;http://www.web-italia.eu http://www.engineering-online.eu;http://www.mondoitalia.net ; |
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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-03-22 ad oggi 2010-03-2323 Marzo 2010 ELEZIONI Elezioni, i vescovi liguri: "Sostegno a chi tutela valori fondamentali" "Una parola che possa favorire la riconciliazione e il discernimento". A rivolgerla, "nell’approssimarsi della consultazione elettorale" del 28 e 29 marzo, "diritto e dovere di ogni cittadino", ai fedeli e a tutti gli abitanti della regione sono i vescovi della Liguria, in una nota diffusa oggi. CONSIGLIO PERMANENTE CEI Il cardinale Bagnasco: "Riconciliamoci con la Verità" "Vi supplico in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio": questo versetto della seconda Lettera di S. Paolo ai Corinti fa da pensiero unificante della prolusione che il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha presentato oggi ai partecipanti al Consiglio permanente dei vescovi, che proseguirà fino a giovedì 25 marzo a Roma. ….Difesa della vita e valori non negoziabili. Gli ultimi argomenti affrontati dal card. Bagnasco nella prolusione al Consiglio permanente dei Vescovi, hanno riguardato i temi della difesa della vita, della riaffermazione dei "valori non negoziabili" in politica e della esigenza che a rappresentare i cittadini ci siano cittadini onesti e possibilmente pervasi dei valori cristiani. Circa il primo aspetto ha rilevato che in Europa nel solo 2008 "quasi tre milioni di bambini non sono nati" a causa dell’aborto, "ossia uno ogni undici secondi". Ha collegato questa tendenza alla introduzione nel nostro Paese della pillola Ru486, che "banalizzerà l’aborto (...) giacché l’idea di pillola è associata a gesti semplici". Quanto alle imminenti elezioni ha ricordato valori quali "dignità della persona umana", "indisponibilità della vita dal concepimento alla morte naturale", "libertà educativa e scolastica", "famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna", come anche "accoglienza verso gli immigrati", "libertà dalla malavita". "Si tratta – ha detto – di un complesso indivisibile di beni, dislocati sulla frontiera della vita e della solidarietà". Quanto, infine, alla onestà nella vita politica, ha ammonito: "non è vero che tutti rubano", ma se anche ciò accadesse "non si attenuerebbe in nulla l’imperativo dell’onestà". |
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DG Studio TecnicoDalessandro Giacomo 41° Anniversario - SUPPORTO ENGINEERING-ONLINE |
Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto, pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare.. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio..
Il Mio Pensiero
(Vedi il "Libro dei Miei Pensieri"html PDF ):…..
Io Cattolico Credente e Professante Voto Vendola in Puglia per queste Elezioni Regionali, e invito i Cattolici a sostenere in tutte le regioni i Candidati del Centro Sinistra, possibilmente Cattolici.
Dico che sono professante e credente, e cerco quotidianamente di darne testimonianza attraverso i miei siti internet, fra cui il sito
http://www.cristo-re.euGiornalmente registro volontariamente la S. Messa e la metto in rete non sovvenzionato né aiutato da alcuno ( in rete ho almeno 600 S. Messe e numerosissime Cerimonie Religiose ).
Da 9 anni indico annualmente la Settimana Mondiale della diffusione dei "Quattro Vangeli" della Chiesa Cattolica, e diffondo i testi in abbinata Italiano-Latino, Italiano-Inglese, Italiano-Spagnolo, oltre ai files della Lettura dei Vangeli, Lettereed atti degli Apolstoli, Apocalisse, Brani della Bibbia, tutti registrati personalmente senza aiuto alcuno.
Non sono assolutamente ricco, anzi nonostante la mia ultra referenziata quarantennale professionalità sono in mobilità, dopo un anno di cassa integrazione.
Curo gratuitamente da 3 anni, personalmente e da solo, la Formazione Continua dei Periti Industriali del Collegio di Taranto, sono stato sindacalista di fabbrica, dipendente per 32 anni, Imprenditore di una piccola struttura di ingegneria con 22 tecnici per 10 anni. ( Vedi il mio sito internet
http://www.engineering-online.eu ed il mio curriculum professionale scaricabile dal medesimo).Sono per attuare il Tempo pieno negli ITIS di tutta Italia a costo ridotto, se a qualcuno interesso posso dire e programmare come, e sono per la Riforma degli Ordini Professionali per trasformarli in Enti di Qualità e Formazione Tecnica Continua, nonché per innalzare gratuitamente del 3-5% le pensioni dei Professionisti a costo 0 trasformando il 2% che attualmente va agli ordini
Nella mia vita ho avuto per 12 anni una 127 comprata nuova, per 5 anni una ritmo usata, per 15 anni un'Alfa 90 usata, ed ora da 3 anni una 156 usata.
Mia moglie non ha mai fatto un giorno di ferie in albergo, in 33 anni di vita matrimoniale.
Penso di dare testimonianza di una vati lavorativa dignitosa.
A proposito dell'intervento di Monsignor Bagnasco, non posso che essere d’accordo sui principi Cristiani, e non sono favorevole all'Aborto inteso come contraccettivo.
Ma sono convintissimo che DIO è Amore immenso come è l'Universo che ha creato per noi, ma anche che il dolore non è da DIO ma dagli Uomini, e che il dolore può servire per capire chi lo prova e soffre.
Ma non è DIO a procurarci volutamente il dolore ed a farci soffrire.
Inoltre la Vita va difesa insegnando il Vero Valore, l'Amore, la Famiglia, i Figli, la Solidarietà, il Prossimo..valori universali anche per i non Cattolici, e validissimi anche per la sinistra: VIA, VERITA', VITA
Detto questo non vedo nella Destra chi si puà erigere a difesa dei Principi Cristiani, visto che molti sguazzano nel lusso sfrenato dimenticandosi del prossimo, che sono divorziati, che osteggiano il Prossimo Povero ed Immigrato, che portano le Guerre nel Mondo, la Fame ….
Ci sono anche li buoni e non buoni, come nella Sinistra, perché siamo tutti Uomini e Peccatori, sbagliando almeno il 50% delle volte nelle nostre scelte e non sempre ci correggiamo.
Detto questo confermo la mia scelta per Vendola, ma a lui dico che non gli do la carta in Bianca per i Principi Cristiani, dei quali sono convionto, e per i quali ciascuno di noi decide e ne risponde a livello personale e di coscienza.
A Vendola dico di adottare il Decalogo del
DIRITTO ALLA VITA
Oggetto: Sanità On-Line - Acqua non privatizzata - Energia Pulita No Nucleare - Trasporti intelligenti metropolitane di superficie - Tempo Pieno negli ITIS - Famiglia ai Giovani - Giustizia che Libera da Mafia - Riforma degli Ordini Professionali - Piante Libere di Creare Naturalmente la Vita - Lavoro per tutti
Un Diritto per tutti, la PUGLIA e le REGIONI per la VITA adottino il DECALOGO per la VITA:
Per. Ind. Giacomo Dalessandro
AVVENIRE per l'articolo completo vai al sito internet http://www.avvenire.it2010-03-23 23 Marzo 2010 ELEZIONI Elezioni, i vescovi liguri: "Sostegno a chi tutela valori fondamentali" "Una parola che possa favorire la riconciliazione e il discernimento". A rivolgerla, "nell’approssimarsi della consultazione elettorale" del 28 e 29 marzo, "diritto e dovere di ogni cittadino", ai fedeli e a tutti gli abitanti della regione sono i vescovi della Liguria, in una nota diffusa oggi. I presuli invitano, in particolare, alla "riconciliazione degli animi", che "appare sempre più urgente non solo a livello individuale e interpersonale, ma anche a livello collettivo e pubblico": "Un’effettiva coesione tra i diversi componenti dell’intera comunità nazionale – si legge infatti nella nota, il cui primo firmatario è l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco - rappresenta la condizione imprescindibile per realizzare quel principio di solidarietà che deve animare la convivenza civile e orientare l’agire politico a servizio del bene comune". A questo riguardo, spiegano i vescovi, "il criterio guida per un sapiente discernimento tra le diverse rappresentanze è l’impegno programmatico, chiaramente assunto, di assicurare il pieno rispetto di quei valori che esprimono le esigenze fondamentali della persona umana e della sua dignità, valori che sono la condizione e il fondamento di una società veramente solidale". Tutti valori, questi, "chiaramente e ripetutamente ribaditi dal magistero conciliare, postconciliare e pontificio: fra tutti, il rispetto della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale; la tutela e il sostegno della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna; il diritto di libertà religiosa, la libertà della cultura e dell’educazione. E quindi il diritto al lavoro e alla casa; l’accoglienza degli immigrati, rispettosa delle leggi e volta a favorire l’integrazione; la promozione della giustizia e della pace; la salvaguardia del creato. Tali valori non possono essere selezionati secondo la sensibilità personale, ma vanno assunti nella loro integralità", la conclusione della nota.
2010-03-22 22 Marzo 2010 CONSIGLIO PERMANENTE CEI Il cardinale Bagnasco: "Riconciliamoci con la Verità" "Vi supplico in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio": questo versetto della seconda Lettera di S. Paolo ai Corinti fa da pensiero unificante della prolusione che il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha presentato oggi ai partecipanti al Consiglio permanente dei vescovi, che proseguirà fino a giovedì 25 marzo a Roma. Tutto il testo è segnato dalla "consapevolezza di una conversione necessaria e irrevocabile", in riferimento a molteplici fattori ed eventi che segnano la vita della Chiesa come quella della società nel suo complesso. Il cardinale fa riferimento anzitutto agli attacchi a quel "mistagogo formidabile del nostro tempo che è Benedetto XVI", notando come "quanto più, da qualche parte, si tenta inutilmente di sfiorare la sua limpida e amabile persona, tanto più il popolo di Dio a lui guarda commosso e fiero". Circa il ruolo e il comportamento di vescovi e preti, aggiunge, "non ci sono incarichi o ruoli da interpretare come ‘un privilegio personale’, o da trasformare in occasioni per ‘una brillante carriera’, quando c’è solo ‘un servizio da rendere con dedizione e umiltà’". Il presidente cita, a questo proposito, recenti parole del Papa: "Le cose nella società civile e, non di rado, nella Chiesa, soffrono per il fatto che molti di coloro ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità". La Lettera ai cattolici d'Irlanda. Nei passaggi iniziali della sua prolusione, il card. Bagnasco dedica ampio spazio alla Lettera ai Cattolici d’Irlanda scritta dal Papa nei giorni scorsi, dopo l’esplodere dello scandalo della pedofilia, notando come questi fatti rappresentino un "crimine odioso, ma anche peccato scandalosamente grave che tradisce il patto di fiducia iscritto nel rapporto educativo". "Senza dubbio la pedofilia è sempre qualcosa di aberrante – prosegue - e, se commessa da una persona consacrata, acquista una gravità morale ancora maggiore. Per questo, insieme al profondo dolore e ad un insopprimibile senso di vergogna, noi Vescovi ci uniamo al Pastore universale nell’esprimere tutto il nostro rammarico e la nostra vicinanza a chi ha subìto il tradimento di un’infanzia violata". Il cardinale nota quindi che "Benedetto XVI non lascia margini all’incertezza o alle minimizzazioni" e prosegue citando passi della Lettera del Papa: "nonostante l’indegnità, ‘i peccati, i fallimenti di alcuni membri della Chiesa, particolarmente di coloro che furono scelti in modo speciale per guidare e servire i giovani’", rimane la verità che "‘è nella Chiesa che voi troverete Gesù Cristo, che è lo stesso ieri, oggi e sempre’". Chiede quindi ai Vescovi italiani un "intensificato sforzo educativo dei candidati al sacerdozio, il rigore del discernimento, la vigilanza per prevenire situazioni e fatti non compatibili con la scelta di Dio, una formazione permanente del nostro clero adeguata alle sfide". Strategie di discredito generalizzato. Dopo aver notato come "non da ora il fenomeno della pedofilia appaia tragicamente diffuso in diversi ambienti e in varie categorie di persone", il cardinale afferma che "questo, però, non significa subire – qualora ci fossero – strategie di discredito generalizzato. Dobbiamo in realtà tutti interrogarci, senza più alibi, a proposito di una cultura che ai nostri giorni impera incontrastata e vezzeggiata, e che tende progressivamente a sfrangiare il tessuto connettivo dell’intera società, irridendo magari chi resiste e tenta di opporsi: l’atteggiamento cioè di chi coltiva l’assoluta autonomia dai criteri del giudizio morale e veicola come buoni e seducenti i comportamenti ritagliati anche su voglie individuali e su istinti magari sfrenati". Secondo il presidente dei Vescovi "l’esasperazione della sessualità sganciata dal suo significato antropologico, l’edonismo a tutto campo e il relativismo che non ammette né argini né sussulti fanno un gran male perché capziosi e talora insospettabilmente pervasivi". "Conviene allora – afferma il presidente della Cei - che torniamo tutti a chiamare le cose con il loro nome sempre e ovunque, a identificare il male nella sua progressiva gravità e nella molteplicità delle sue manifestazioni, per non trovarci col tempo dinanzi alla pretesa di una aberrazione rivendicata sul piano dei principi". L'interesse religioso nella popolazione. "Sacerdoti di convinzione, capaci di autonomia pensante": è quanto il presidente dei Vescovi chiede al clero, per essere all’altezza dei tempi, senza "indulgere in ingenua condiscendenza allo spirito del tempo", rilevando tra l’altro un crescente interesse religioso nella popolazione, come ad esempio nel caso delle "ostensioni" (quella di Sant’Antonio, a Padova, e presto quella della Sindone a Torino). Rilancia quindi l’esigenza dell’ "educazione", che sarà oggetto degli orientamenti pastorali per il prossimo decennio, discussi nel Consiglio permanente, richiamando a questo proposito la XXV Giornata Mondiale della Gioventù che verrà celebrata la Domenica delle Palme. Il cardinale Bagnasco passa poi a trattare i temi internazionali, a partire dai due recenti terremoti di Haiti e del Cile, notando l’esigenza di "attrezzarsi per rispondere in modo non improvvisato né episodico alle tragedie che si presentano" e anche la generosità della risposta della popolazione italiana. Un altro tema all’attenzione è quello degli attacchi alla "libertà religiosa" e in particolare "la recrudescenza degli attacchi ai cattolici". Su questo argomento nota come "la mitezza che contrassegna in generale la risposta cattolica non può essere fraintesa: nessuno ha il diritto di farsi padrone degli altri in nome di Dio". Italia, società vivace. Passando a riflettere sulla situazione italiana, il card. Bagnasco ha sottolineato che "la nostra è una società vivace, che in vari campi ha delle punte di eccellenza" anche se con venature di pessimismo. Ha infatti affermato: "Da più parti si parla di un declino che sarebbe incombente sul nostro amato Paese. Perché nei paragoni, che talora si avanzano, dove l’Italia è messa per l’uno o l’altro dei suoi parametri a confronto con altri contesti nazionali, si finisce puntualmente per concludere – magari con un sottile compiacimento intellettuale – che siamo in svantaggio?". Il presidente dei Vescovi si pone le domande: "Si tratta di irriducibile pessimismo o di cronico snobismo? Rimestare sistematicamente nel fango, fino a far apparire l’insieme opaco, se non addirittura sporco, a cosa serve? E a sospingere verso analisi fin troppo crudeli, è l’amore per la verità o qualcos’altro di meno confessabile?". Si interroga anche su un altro fenomeno, legato alla crisi economica: quello dei suicidi di dipendenti e anche di imprenditori, "in particolare del Nordest, che nell’impossibilità a far fronte agli impegni", "disperatamente non scorgono alternative diverse dal tragico gesto". Di fronte a questi fatti, il presidente dei Vescovi afferma che "la crisi la si supera sforzandosi di immaginare il nuovo". Difesa della vita e valori non negoziabili. Gli ultimi argomenti affrontati dal card. Bagnasco nella prolusione al Consiglio permanente dei Vescovi, hanno riguardato i temi della difesa della vita, della riaffermazione dei "valori non negoziabili" in politica e della esigenza che a rappresentare i cittadini ci siano cittadini onesti e possibilmente pervasi dei valori cristiani. Circa il primo aspetto ha rilevato che in Europa nel solo 2008 "quasi tre milioni di bambini non sono nati" a causa dell’aborto, "ossia uno ogni undici secondi". Ha collegato questa tendenza alla introduzione nel nostro Paese della pillola Ru486, che "banalizzerà l’aborto (...) giacché l’idea di pillola è associata a gesti semplici". Quanto alle imminenti elezioni ha ricordato valori quali "dignità della persona umana", "indisponibilità della vita dal concepimento alla morte naturale", "libertà educativa e scolastica", "famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna", come anche "accoglienza verso gli immigrati", "libertà dalla malavita". "Si tratta – ha detto – di un complesso indivisibile di beni, dislocati sulla frontiera della vita e della solidarietà". Quanto, infine, alla onestà nella vita politica, ha ammonito: "non è vero che tutti rubano", ma se anche ciò accadesse "non si attenuerebbe in nulla l’imperativo dell’onestà".
22 Marzo 2010 PROLUSIONE AL CONSIGLIO PERMANENTE "Lasciatevi riconciliare con Dio" Venerati e Cari Confratelli, "Vi supplico in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2Cor 5,20): insieme alle nostre comunità, ci siamo messi in cammino nella direzione indicata da queste parole per vivere come grazia il tempo forte della Quaresima, puntando alla Pasqua, cuore della nostra fede. Noi stessi, padri del Consiglio Permanente, conveniamo in questa sessione primaverile per rispondere in termini anche personali all’invito dell’apostolo Paolo. Il nostro ministero, al pari del lavoro che ci attende in questi giorni, vuol essere solcato dalla consapevolezza di una conversione necessaria e irrevocabile. Ci interrogheremo infatti sul già fatto e sul non ancora compiuto, e sulle condizioni del tempo in cui operiamo, dando così forma al "necessario discernimento, anche severo, del realismo sobrio e dell’apertura a nuovi carismi" (Benedetto XVI, All’Udienza del Mercoledì, 10 marzo 2010), ossia all’ispirazione divina che dal Risorto è stata garantita alla Chiesa, per cui il governare, da parte dei Pastori, è anzitutto e "soprattutto pensare e pregare" (ib). 1. "Vi supplico in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2Cor 5,20): non c’è nulla di abitudinario né di ciclicamente scontato nella riproposta del tempo quaresimale. Non c’è anzitutto un nostro agitarci, ma c’è piuttosto l’iniziativa di Dio, c’è una misteriosa e gratuita "precedenza divina": a noi rimane il compito di lasciarci raggiungere, di arrenderci all’amore e alla sua chiamata. Solo Dio infatti può attirarci, mentre a noi sta la responsabilità della risposta. Ecco la fede, che è il vero caso serio della vita: qui mettiamo a repentaglio noi stessi, lo spessore della nostra vita attuale, la beatitudine di quella futura (cfr Benedetto XVI, All’Udienza del Mercoledì, 17 febbraio 2010). Dio non ci ama per gioco, e il nostro corrispondergli non può essere affidato alla saltuarietà e ad uno spontaneismo vago quanto ingenuo. È piuttosto un lasciarci portare a livello di Dio, ed è evento ontologico che riguarda l’essere, cioè il fatto "che siamo uniti con Lui, che ci ha dato in anticipo se stesso, ci ha dato il suo amore" (Benedetto XVI, Lectio Divina con i Seminaristi del Seminario romano maggiore, 12 febbraio 2010). È, dunque, un restare al livello che Lui ci è ha guadagnato. Non basta rettificare un accidente, è tutta l’esistenza che va messa in asse con la chiamata: "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio" (2Cor 5,21). E il Papa commenta: grazie all’azione di Cristo, "noi possiamo entrare nella giustizia "più grande", quella dell’amore, la giustizia di chi si sente in ogni caso sempre più debitore che creditore, perché ha ricevuto più di quanto si possa aspettare" (Messaggio per la Quaresima 2010). A quel punto, l’agire consegue all’essere, "come una realtà organica, perché ciò che siamo, possiamo anche esserlo nella nostra attività" (Lectio Divina cit.). Dunque − al di là del formalismo o del moralismo − non si tratta di consegnarci "ad una volontà tirannica" che sta fuori del nostro essere, o ad una legge estranea a noi stessi e che ci resterà esteriore. Dobbiamo piuttosto agire sul perno della nostra identità, dando realizzazione al "dono del nuovo essere" (ib). L’etica evangelica è essere fedeli a ciò che Gesù ha fatto per noi e di noi. È il dinamismo intrinseco e coerente con ciò che siamo per grazia. L’alienazione è in agguato quando ci si esclude dalla prospettiva di Dio, "perché in questo modo usciamo dal disegno del nostro essere", usciamo cioè da quella "volontà creatrice", crogiuolo dell’incandescenza, che porta l’uomo e la sua libertà al grado massimo della loro realizzazione (cfr Benedetto XVI, Lectio Divina con i Parroci di Roma, 18 febbraio 2010). Ancora una volta, cari Confratelli, noi amiamo pensarci nell’ambito di quella scuola in cui mistagogo formidabile del nostro tempo è Benedetto XVI, e non per meramente ripetere ma per assumere emblematicamente questo magistero e per incastonarlo nel vissuto delle nostre Chiese, persuasi che la testimonianza pontificale oggi offerta, raccolta con ogni premura attorno ad uno speciale carisma della parola, accompagnata da una conoscenza singolare dei Padri, e da una sensibilità acuta per i bisogni dell’umanità, sia un provvido segno dei tempi, grazia che prova come il Signore non abbandoni mai il suo popolo e amabilmente lo guidi per i pascoli del suo amore. Quanto più, da qualche parte, si tenta inutilmente di sfiorare la sua limpida e amabile persona, tanto più il popolo di Dio a lui guarda commosso e fiero. Anche per questo gli rinnoviamo la nostra vicinanza ancora più forte e grata, l’affetto profondo e la nostra piena e concreta comunione.
2. "Vi supplico in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2Cor 5,20). Ma per "lasciarci riconciliare" occorre, da una parte, che noi continuiamo ad avere una vera idea di Dio stesso. Quante volte infatti, dinanzi alle provocazioni del male abissalmente presenti nella storia e nella vita, si fa ricorso al concetto di kénosis, assegnando magari a questa parola un valore semantico sfuocato ed impreciso, intendendola cioè come ridimensionamento dell’onnipotenza di un Dio che così farebbe i conti con il principio a Lui contrario, quello del male? "Ma che povera apologia" di Dio è questa, osserva il Papa. "Come potremmo affidarci a questo Dio? Come potremmo essere sicuri nel suo amore […]?". Credere a Dio vuol dire non ignorare il volto del Cristo Crocifisso: lì "vediamo la vera onnipotenza, non il mito dell’onnipotenza. […]. In Lui la vera onnipotenza è amare fino al punto che Dio può soffrire […] fino al punto di un amore che soffre per noi. E così vediamo che Lui è il vero Dio e il vero Dio, che è amore, è potere: il potere dell’amore" (Lectio Divina con i Seminaristi, cit.). Ecco perché non ci stancheremo mai di sollecitare le nostre comunità ad approfittare quanto meno dei momenti forti dell’anno, come la Quaresima, per proporre ad adulti e giovani, oltre che ai bambini e ai ragazzi, degli itinerari catechistici in grado di far acquisire il senso autentico del messaggio cristiano. Dall’altra parte, è necessario che tutta la pastorale si concentri, per così dire si essenzializzi, in quel "Gesù solo" apparso ai discepoli nel momento della Trasfigurazione. Guai a noi se cessassimo di contemplare il volto di Gesù, "vangelo vivente e personale", se pensassimo di saper reggere il lavoro ecclesiale staccando lo sguardo da Lui. Questo vuol dire, ad esempio, che per noi ecclesiastici non ci sono incarichi o ruoli da interpretare come "un privilegio personale", o da trasformare in occasioni per "una brillante carriera", quando c’è solo "un servizio da rendere con dedizione e umiltà" (Benedetto XVI, All’Udienza generale, 3 febbraio 2010). Il Papa l'aveva già detto, e di recente l’ha ripetuto, che "le cose nella società civile e, non di rado, nella Chiesa, soffrono per il fatto che molti di coloro ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità" (ib). Ma la concentrazione su Cristo vuol dire soprattutto che la trasparenza è un punto d’onore della nostra azione pastorale. Indirizzando sabato scorso la sua Lettera ai Cattolici d’Irlanda, e affrontando con loro a cuore aperto il problema, ovunque doloroso là dove si verifica, degli abusi sessuali compiuti su minori da ecclesiastici – crimine odioso, ma anche peccato scandalosamente grave che tradisce il patto di fiducia iscritto nel rapporto educativo – il Papa ha posto un limite invalicabile alla perniciosa tendenza a cercare scuse in attenuanti e condizionamenti. Egli invece ha affermato con vigore che occorre assumere "una posizione più forte per portare avanti il compito di riparare alle ingiustizie del passato e per affrontare le tematiche […] secondo modalità conformi alle esigenze della giustizia e agli insegnamenti del Vangelo" (n. 1). Senza dubbio la pedofilia è sempre qualcosa di aberrante e, se commessa da una persona consacrata, acquista una gravità morale ancora maggiore. Per questo, insieme al profondo dolore e ad un insopprimibile senso di vergogna, noi Vescovi ci uniamo al Pastore universale nell’esprimere tutto il nostro rammarico e la nostra vicinanza a chi ha subìto il tradimento di un’infanzia violata. La Lettera papale è interamente pervasa da un accorato spirito di contrizione ed è testimonianza indubitabile di una Chiesa che non sta sulla difensiva quando deve assumere su di sé lo "sgomento", "il senso di tradimento" e "il rimorso" per ciò che è stato fatto da alcuni suoi ministri. Benedetto XVI non lascia margini all’incertezza o alle minimizzazioni: "rendiamo conto – esorta – delle nostre azioni senza nascondere nulla", "riconoscete apertamente la vostra colpa, sottomettetevi alle esigenze della giustizia", "dovete rispondere davanti a Dio onnipotente come pure davanti a tribunali debitamente costituiti" (n. 7). E lui, a sua volta, si mette in gioco con la sua autorità: "Vi chiedo con umiltà di riflettere su quanto ho detto" (n. 6). Anche nella bufera, tuttavia, egli è Pietro ed indica la strada, propone a tutti, senza indulgenze, lo scatto in avanti necessario: nonostante l’indegnità, "i peccati, i fallimenti di alcuni membri della Chiesa, particolarmente di coloro che furono scelti in modo speciale per guidare e servire i giovani", ecco tutto questo è vero, "ma è nella Chiesa che voi troverete Gesù Cristo, che è lo stesso ieri, oggi e sempre" (n. 9). Le direttive chiare e incalzanti già da anni impartite dalla Santa Sede confermano tutta la determinazione di fare verità fino ai necessari provvedimenti, una volta accertati i fatti. I Vescovi italiani prontamente ne hanno preso atto e hanno intensificato lo sforzo educativo dei candidati al sacerdozio, il rigore del discernimento, la vigilanza per prevenire situazioni e fatti non compatibili con la scelta di Dio, una formazione permanente del nostro clero adeguata alle sfide. Siamo riconoscenti alla Congregazione per la Dottrina della Fede per l’indirizzo e il sostegno nell’inderogabile compito di fare giustizia nella verità, consapevoli che anche un solo caso in questo ambito è sempre troppo, specie – ripeto – se chi lo compie è un sacerdote. Da varie parti, anche non cattoliche, si rileva come non da ora il fenomeno della pedofilia appaia tragicamente diffuso in diversi ambienti e in varie categorie di persone: ma questo, lungi dall’essere qui evocato per sminuire o relativizzare la specifica gravità dei fatti segnalati in ambito ecclesiastico, è piuttosto un monito a voler cogliere l’obiettivo spessore della tragedia. Nel momento stesso in cui sente su di sé l’umiliazione, la Chiesa impara dal Papa a non avere paura della verità, anche quando è dolorosa e odiosa, a non tacerla o coprirla. Questo, però, non significa subire – qualora ci fossero – strategie di discredito generalizzato. Dobbiamo in realtà tutti interrogarci, senza più alibi, a proposito di una cultura che ai nostri giorni impera incontrastata e vezzeggiata, e che tende progressivamente a sfrangiare il tessuto connettivo dell’intera società, irridendo magari chi resiste e tenta di opporsi: l’atteggiamento cioè di chi coltiva l’assoluta autonomia dai criteri del giudizio morale e veicola come buoni e seducenti i comportamenti ritagliati anche su voglie individuali e su istinti magari sfrenati. Ma l’esasperazione della sessualità sganciata dal suo significato antropologico, l’edonismo a tutto campo e il relativismo che non ammette né argini né sussulti fanno un gran male perché capziosi e talora insospettabilmente pervasivi. Conviene allora che torniamo tutti a chiamare le cose con il loro nome sempre e ovunque, a identificare il male nella sua progressiva gravità e nella molteplicità delle sue manifestazioni, per non trovarci col tempo dinanzi alla pretesa di una aberrazione rivendicata sul piano dei principi. Tenendo fisso lo sguardo a Gesù, siamo abilitati a riconoscerlo in tutti, in particolare nei piccoli e nei poveri. È, dunque, a partire dal riferimento a Lui, che si concretizza il contributo che, insieme ai Confratelli della Comece, intendiamo dare alla campagna approntata per l’Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Più in generale, in questa circostanza vorremmo osservare che c’è tanta, troppa sofferenza nel mondo, e che attenuare il carico di dolore prodotto è una missione cui tutti devono partecipare, quale che sia la loro competenza. E tuttavia, consapevoli che mai riusciremo a cancellare il male dalla nostra condizione umana, ci sia consentito ricordare che il dolore, per quanto scandaloso, non è mai del tutto eccedente: in ogni sua goccia infatti è fin d’ora deposto un seme di eternità e di salvezza. 3. "Vi supplico in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2Cor 5,20): vorrei che questa perorazione raggiungesse in particolare i nostri cari sacerdoti, e li interpretasse nel loro desiderio di autenticità e di rinnovamento della propria testimonianza di vita e di missione. L’Anno Sacerdotale che stiamo celebrando conoscerà, in ogni Chiesa locale, proprio giovedì della prossima settimana – giovedì santo – una tappa particolarmente significativa sul fronte della coscienza di sé, in rapporto agli altri, alle rispettive comunità, e soprattutto in rapporto a Gesù Cristo, "il sempre chiamante". In un certo senso, potrà rappresentare il fulcro, ossia il punto di caduta dell’intero Anno Sacerdotale, il momento nel quale meglio cogliere quella "continuità sacerdotale" che, partendo da Gesù di Nazareth, si è presto esplicata lungo i secoli nei nostri territori, e fino ad oggi (cfr Benedetto XVI, Discorso al Convegno della Congregazione per il Clero, 12 marzo 2010). Il tema dell’identità sacerdotale resta "determinante" per l’esercizio del sacerdozio ministeriale: in un’epoca come la nostra − "policentrica" e "polimorfa" e perciò stesso "incline a sfumare ogni concezione identitaria" come avversa al sentimento democratico − "è importante avere ben chiara la peculiarità teologica del ministero ordinato" (ib). Sarebbe bello che l’impegno profuso in questi mesi fosse coinciso, per ciascun confratello, con uno scavo attorno alle radici della propria vocazione, per riscoprirne la bellezza e rinforzare in lui la propria umanità: come diceva di recente il Papa, egli "deve vivere una vera umanità, un vero umanesimo; deve avere un’educazione, una formazione umana, delle virtù umane; deve sviluppare la sua intelligenza, la sua volontà, i suoi sentimenti, i suoi affetti; deve essere realmente uomo, uomo secondo la volontà del Creatore e del Redentore…" (Lectio Divina con i Parroci cit.). Non un disagiato, né uno scompensato, benché il clima culturale odierno non faciliti certo la crescita armonica di alcuno. Il sacerdote è un uomo che – non solo nel tempo del seminario – coltiva la propria umanità nel fuoco dell’amore di Gesù. E in questo orizzonte la nutre, la pota, la orienta, diventando a quel punto capace di amare in maniera matura la vocazione donatagli. Ogni sacerdote è consapevole di essere stato preso per mano dal suo Signore e chiamato a stare con Lui come amico: per questo è vitale conoscere Dio da vicino, frequentarlo, accompagnarsi a Lui cuore a cuore. La celebrazione quotidiana della Messa, la preghiera regolare della Liturgia delle Ore e quella dei momenti più intimi e personali, l’adorazione eucaristica, la pratica del sacramento della penitenza, lo studio anche sistematico che permette di penetrare meglio le sfide del tempo, sono tutti elementi che vanno nell’unica direzione, quella della comunione stabile con Dio in Cristo Gesù (cfr Benedetto XVI, Discorso al Convegno sul foro interno promosso dalla Penitenzieria Apostolica, 11 marzo 2010). La secolarizzazione diventa l’ambiente di cui si coglie il portato, ma senza ingenuità o illusioni, per diventare sacerdoti di convinzione, sacerdoti capaci di autonomia pensante, senza lasciarsi sopraffare dall’estensione delle cose da sapere o da fare perché si punta sulla profondità, sulla sintesi più che sui dettagli, sulle arcate più che sulla decorazione. Un’insistente proiezione esterna, una parcellizzazione degli impegni, un attivismo esasperato non possono diventare l’ancoraggio della vita interiore; questa si nutre anzitutto nel rapporto con Dio, coltivato, preservato, amato. C’è un’industriosità del sacerdote che, se dapprima galvanizza e inebria, molto presto svuota e appesantisce. L’apertura al mondo, ai fatti della vita, alla contemporaneità, non va scambiata con l’ingenua condiscendenza allo spirito del tempo, quasi dovesse tradursi in un’auspicabile e progressiva auto-secolarizzazione (cfr Benedetto XVI, Lettera cit., n. 4) Allora, l’intorpidimento dell’anima apparirà per quello che è, un inaridimento scaturito da auto-esenzioni circa i doveri del proprio stato. Essere preti è qualcosa di più di una semplice decisione morale, affidata ad una pur adeguata condotta di vita; è anzitutto una risposta d’amore ad una dichiarazione d’amore. La missione "non è una cosa aggiunta alla fede, ma è il dinamismo della fede stessa" (Lectio Divina con i Seminaristi cit.), e diventerà il nostro modo di essere, di porci fra gli altri, senza finti distacchi, ma anche senza ignorare le differenze. Si diventerà capaci di appassionamento, di com-passione, per soffrire con gli altri, e caricarsi addosso il patire del nostro tempo, il patire della nostra stessa comunità, senza tuttavia lasciarsene sopraffare. Serve per questo non concentrarsi sui propri limiti, "ma tenere lo sguardo fisso sul Signore e sulla sua sorprendente misericordia, per convertire il cuore, e continuare con gioia a lasciare tutto per Lui" (Benedetto XVI, Saluto all’Angelus, 7 febbraio 2010). Si scoprirà, a quel punto, che "la testimonianza suscita vocazioni" come recita il tema scelto per la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni in calendario per il prossimo 25 aprile. C’è una sorta di contagio tra chi vive gratuitamente e gioiosamente il proprio essere prete e quanti attorno a lui si interrogano sul proprio destino, sulla propria personale chiamata, fuori dai burocraticismi e dalle mimetizzazioni indotte dal clima culturale. Siamo certi che come non si è accorciato il braccio di Dio, né affievolita la sua voce, così non ha perso trazione nei cuori di oggi il linguaggio del dono. C’è piuttosto una fascinazione esercitata dai testimoni che sarebbe sciocco deprezzare. L’accorrere sorprendente di tanta gente, in occasione di "ostensioni" – da poco si è svolta a Padova quella di Sant’Antonio, presto sarà la volta della Sindone a Torino – o per appuntamenti religiosi anche non eccezionali, è un fenomeno da trattare non con sufficienza né con snobismo. Occorre invece saperlo attraversare, per interpretarne le tracce, raccogliere segnali, purificare linguaggi. In quest’ora delicata, una parola ci sentiamo in dovere di rivolgere a voi, amati Sacerdoti che fate il vostro dovere con fede, amore e dignità. Noi Vescovi, insieme al Papa (cfr Lettera cit. n. 10), onoriamo la vostra dedizione limpida e generosa per il bene autentico della gente, a cominciare dai bambini e dai ragazzi. Nessun caso tragico può oscurare la bellezza del vostro ministero e del sacerdozio che sacramentalmente ci unisce, né mettere in discussione il sacro celibato che ci scalda il cuore e ispira la vita. Nell'appartenenza radicale e fedele a Gesù noi sappiamo che la nostra umanità si realizza e diventa feconda nella paternità dello spirito. Non sentitevi mai guardati con diffidenza o abbandonati, e non scoraggiatevi; siate sereni sapendo che le nostre comunità hanno fiducia in voi e vi affiancano con lo sguardo della fede e le esigenze dell'amore evangelico. 4. Proprio la declinazione educativa del compito sacerdotale ci interessa in questo momento. I lineamenti del nuovo decennio che sono in gestazione, e prenderemo in esame nel corso di questo Consiglio Permanente in vista dell’approvazione all’ordine del giorno della prossima Assemblea, ci impongono una sottolineatura che valorizzi la riflessione in atto con l’Anno Sacerdotale. Pensiamo al grande tema dell’Apostolo quale padre che rigenera colui che vuole credere (cfr 1Ts 2,7.11; Gal 4,19; 2Cor 12,15, Fm 10). E in Rom 6,17-18 contrappone due condizioni esistenziali, evocando dapprima gli "schiavi del peccato", e poi i "servi della giustizia". Il passaggio da un modo di esistere all’altro è dovuto ad almeno due fattori: l’insegnamento come viene trasmesso e l’obbedienza compiuta dal cuore. La natura di questa operazione è identificata niente meno che con la categoria della liberazione: è un’esperienza vissuta dalla libertà e attraverso la libertà. Ebbene, facile è desumere da qui lo spessore che la Parola di Dio attribuisce alla dimensione educativa. Paolo parla di "cuore" che ubbidisce. Cioè non basta che l’insegnamento trasmesso venga assentito razionalmente in quanto ritenuto vero, bisogna che si acconsenta ad esso perché valutato affettivamente come qualcosa di desiderabile. Ne discende che la predicazione della Parola di Dio non deve essere solo fedele alla verità, ma anche significativa per la persona. Una proposta su Cristo, che fosse poco significativa per il soggetto, sarebbe molto probabilmente incapace di ottenere l’assenso del cuore. Ecco allora l’educare, delicata operazione affidata non ad un prestigiatore ma a chi per vocazione conosce i segreti dell’animo umano: l’immagine di Dio lì impressa è incancellabile. Saperlo, facendovi conto, è la risorsa più importante. Non solo: il sacerdote è l’uomo della Parola, la quale ha in sé una potenza invincibile. Nella misura in cui è immessa nel processo educativo – al catechismo, in oratorio, nella scuola, ai campi estivi, insomma nella comunità cristiana – e la si serve per quello che è, senza spadroneggiarla e senza piegarla ai propri gusti, non può non produrre frutto. Allora il sacerdote-educatore saprà di essere colui che introduce alla conoscenza della realtà riconosciuta nel suo valore obiettivo, accompagnando nel contempo la persona verso la verità di ciò che è, e verso il suo senso. C’è bisogno che venga più sistematicamente esplicitata la dimensione educativa intrinseca alla carità pastorale, così che "una nuova visione" possa "ispirare la generazione presente e quelle future a far tesoro del dono della nostra comune fede" (Benedetto XVI, Lettera cit., n. 12). Mai l’investimento educativo può essere valutato con sufficienza, quasi fosse un’opzione storica minore, quella non solo meno importante ma anche meno incisiva. Per quel che ci riguarda, con il recente documento "Per un Paese solidale: Chiesa italiana e Mezzogiorno", abbiamo inteso affermare alla coscienza del Paese che educare è piuttosto una priorità ineludibile per affrontare problemi antichi e nuovi che sfidano la società, ed è la strada più redditizia e decisiva per far emergere in modo strutturato ed efficace le potenzialità di mente e di cuore in serbo al nostro popolo. Al termine della settimana che oggi inizia, la domenica delle Palme, è in calendario la XXV Giornata mondiale della Gioventù, "iniziativa profetica" del grande Papa Giovanni Paolo II, dichiarato da poco "venerabile" e che i giovani nella loro spontaneità hanno da subito acclamato santo (cfr Benedetto XVI, Messaggio per la XXV Giornata mondiale della Gioventù, 22 marzo 2010). Noi Vescovi italiani siamo testimoni privilegiati del gran bene, anzi dei "frutti abbondanti" (ib) che questa intuizione ha generato nelle nostre Chiese particolari. Desideriamo che si continui con determinazione e creatività lungo questa strada, che non è mai ripetitiva perché deve coinvolgere le ondate sempre nuove di giovani che si affacciano alla vita. Il tema scelto e illustrato da Benedetto XVI: "Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?", e che si riallaccia alle origini stesse della Giornata, suona davvero come l’indicazione più promettente per quell’Incontro mondiale, in programma a Madrid nell’agosto 2011, verso cui i nostri giovani sono già rivolti. 5. "Vi supplico in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2Cor 5,20). Non raramente si affacciano alla cronaca del mondo eventi che per la loro imponderabilità, come per l’impatto che sono destinati ad avere tra le popolazioni, contengono in sé un poderoso invito alla conversione. Pensiamo ai fatti calamitosi che nell’arco di poche settimane sono accaduti prima ad Haiti e poi in Cile. Due terremoti di proporzioni disastrose, dagli esiti tuttavia parzialmente differenti per la diversa connotazione degli habitat investiti. Possiamo dire che in entrambe le circostanze la nostra gente è sembrata non poco turbata. Bisogna operare perché le emozioni vengano elaborate e approdino a posizioni più consapevoli, ad atteggiamenti ragionati, e infine a scelte coinvolgenti (cfr Benedetto XVI, Discorso alla Protezione civile italiana, 6 marzo 2010). Nei drammi che scaturiscono da eventi naturali solitamente ci sono delle "lezioni" da apprendere, di ordine per così dire logistico, ed anche sul piano civico. Ma resta la quota parte di imponderabilità che va saggiamente ricondotta alla intrinseca precarietà della nostra esistenza, senza lasciarsi sedurre dalla "illusione di poter vivere senza Dio", per leggere piuttosto la storia dell’uomo e del mondo secondo quel ribaltamento di prospettiva suggerito dallo sguardo di Dio stesso (cfr Benedetto XVI, Saluto all’Angelus, 7 marzo 2010). C’è bisogno allora di conversione e di preghiera per raccogliere i messaggi intrinseci agli accadimenti, per maturare ogni volta comportamenti più congrui e solidali, in grado di creare sintonia con chi soffre, e per essere meno indegni nella domanda di intercessione. Ebbene, mentre comincia qua e là a farsi largo la convinzione che la comunità internazionale debba attrezzarsi per rispondere in modo non improvvisato né episodico alle tragedie che si presentano in questa o quella parte del mondo, va sottolineato come la nostra comunità nazionale e la sua opinione pubblica in occasione degli eventi menzionati siano state in debita allerta, e certo sollecite negli interventi. Non di meno la nostra comunità ecclesiale ha prontamente reagito con stanziamenti sostenuti e poi rafforzati attraverso raccolte assai significative di mezzi indispensabili per offrire – in via diretta e attraverso la Caritas – l’aiuto che serve nell’immediato e quello, forse più meritorio ancora, del post-emergenza. I credenti, le loro famiglie, le nostre comunità continuino a sentire il morso della disperazione altrui e si facciano prossimi ai loro bisogni. L’aver noi, come popolo italiano, ripetutamente sperimentato in prima persona le conseguenze di dolore e disagi collegate alle calamità naturali, come l’essere tuttora sotto sforzo per il terremoto che un anno fa ha colpito l’Aquila e l’Abruzzo, mentre gravi smottamenti hanno, nell’ultimo inverno e fino ad oggi, colpito numerose località in particolare del Meridione, fa sì che non possiamo farci trovare mai estenuati, bensì attenti e solleciti quando un fratello è nel bisogno. Ma c’è un’altra tipologia di situazioni dolenti, che ci interpella anzitutto sul piano interiore, ed è quella delle popolazioni tormentate perché sono calpestati i diritti umani fondamentali, primo dei quali la libertà religiosa. Nelle ultime stagioni si registra una recrudescenza degli attacchi ai cattolici. Non sono finiti ad esempio in India, paese in cui nonostante tutto la comunità cattolica cresce grazie alla stima di cui gode, ma dove ultimamente si è giunti a manifestazioni blasfeme dell’immagine di Gesù, così da umiliare e forse anche provocare i nostri fratelli di fede, già sotto tiro con chiese bruciate e sacerdoti e credenti fatti oggetto di persecuzione. Ma pensiamo anche agli scontri molto gravi avvenuti in Nigeria e in precedenza in Malaysia, in Egitto e in Algeria. Nelle ultime settimane, in vista delle elezioni locali, era tornata a salire la tensione in Iraq, e i cristiani sono scesi in piazza per manifestare la loro mite resistenza a fronte di incursioni condotte a loro danno. A motivo delle perduranti discriminazioni, costituiscono oggi una ancor più ridotta minoranza, senza tuttavia che possa mutare lo status di componente religiosa certo non estranea a quella regione, avendo lì il cristianesimo radici quasi bimillenarie. La mitezza che contrassegna in generale la risposta cattolica non può essere però fraintesa: nessuno ha il diritto di farsi padrone degli altri in nome di Dio. Noi siamo effettivamente vicini a questi nostri fratelli di fede, solidali con il loro patire, ammirati della loro perseveranza, impegnati a far sì che la politica a livello internazionale voglia assumere con crescente autorevolezza iniziative urgenti ed efficaci per assicurare a tutti gli uomini, entro qualunque confine, il sacrosanto rispetto della libertà di credo e di culto. Ai missionari, alle suore, ai volontari laici che, come è accaduto anche di recente, di fronte a discriminazioni e violenze di ogni tipo non si staccano dalla terra in cui operano, va la nostra assidua vicinanza: sono nel cuore della nostra preghiera. Vogliamo, anzi, essere degni di loro, e per questo non cesseremo di interrogarci sul nostro vivere la fede, perché crescano in noi la testimonianza e l’annuncio evangelico nel segno di una gioia più limpida e di una convinzione più coraggiosa. 6. "Vi supplico in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2Cor 5, 20): questo invito accorato vorremmo con affetto rivolgerlo specialmente al nostro Paese. Sappiamo bene che oggi c’è una certa allergia a parlare di conversione; e talora anche il semplice suggerimento finisce per suonare paradossalmente sgradito. Certo, la conversione, come l’auto-rinnovamento, è tra le decisioni più intime, che comprensibilmente suscitano pudore. Il fatto è però che una società non si rinnova per legge, o per qualche automatismo generale o in forza di un’indagine sociologica. La conversione è scelta personalissima, che nessuno può fare per altri. Ne risulta che una società si rinnova solo a condizione che più soggetti decidano consapevolmente di farlo. Se uno invece passa la mano, e attende che altri facciano quello da cui egli si auto-esonera, allora davvero si finisce in una stagnazione etica che fatalmente indebolisce e logora l’intera convivenza. La nostra è una società vivace, e che in vari campi ha delle punte di eccellenza che sono motivo di comune soddisfazione; a dispiacere semmai è la rapidità con cui spesso ci si dimentica di quello che gioverebbe ricordare e sotto ogni latitudine concorre a formare il patrimonio tipico di ogni popolo. Nello stesso tempo, la nostra è una società molto sensibile, con un’alta propensione a immedesimarsi nei problemi come nei disagi degli altri. Siamo un popolo esuberante che, in un arco di tempo limitato, ha coperto un tratto lungo di strada in ordine al progresso, distanza magari che altri hanno impiegato assai di più a percorrere, ma che in questa sua corsa entusiasmante e talora persino affannosa, rischia di lasciarsi indietro regole e remore introiettate quando era più povero e meno evoluto. Non so dire se la società italiana sarebbe nel suo insieme disposta ad accogliere da noi Vescovi una parola, anche una sola, peraltro umile, e comunque schietta. Se penso alle nostre singole città, e alla società che si esprime nelle singole diocesi, sarei indotto a immaginare senz’altro di sì. E a quel punto direi: sostiamo un attimo e proviamo a pensare. Pensare a noi stessi, a quello che eravamo, ed oggi – dopo esserci lanciati in una maratona incredibile, e aver raccolto non pochi risultati – rischiamo nonostante tutto di compromettere. Da più parti si parla di un declino che sarebbe incombente sul nostro amato Paese. Perché nei paragoni, che talora si avanzano, dove l’Italia è messa per l’uno o l’altro dei suoi parametri a confronto con altri contesti nazionali, si finisce puntualmente per concludere – magari con un sottile compiacimento intellettuale – che siamo in svantaggio? Si tratta di irriducibile pessimismo o di cronico snobismo? Rimestare sistematicamente nel fango, fino a far apparire l’insieme opaco, se non addirittura sporco, a cosa serve? E a sospingere verso analisi fin troppo crudeli, è l’amore per la verità o qualcos’altro di meno confessabile? O è più attendibile invece il fatto che stiamo progressivamente perdendo la fiducia in noi stessi, assumendo con ciò stati d’animo che finiscono col destrutturare la società intera? Quella energia morale che avevamo dentro ed ha consentito ad una nazione, uscita dalla guerra in condizioni del tutto penose, di ritrovarsi in qualche decennio tra le prime al mondo, quella forza vitale che fine ha fatto? Perché il vincolo che ci aveva legato nella stagione della ricostruzione post-bellica e del lancio del Paese stesso sulla scena internazionale, ed aveva retto nonostante profondi dislivelli sociali e serie fratture ideologiche, è sembrato da un certo punto in avanti non unirci più? 7. Ci sono tuttavia dei motivi di contingente quanto seria preoccupazione, dovuti in gran parte alla crisi economica internazionale, che sprigiona ora sul territorio i suoi frutti più amari. Mi riferisco in particolare alla realtà del lavoro, il lavoro che è "bene per l’uomo, per la famiglia e per la società, ed è fonte di libertà e responsabilità" (Benedetto XVI, Discorso all’Unione degli Industriali del Lazio, 18 marzo 2010). Per un popolo abituato a far leva sostanzialmente sulla propria intraprendenza e sulla propria fatica, trovarsi spiazzato sul fronte dell’occupazione è una sofferenza acuta. In non poche aree assistiamo ad industrie che fermano la produzione. Dove la competizione internazionale già aveva ridotto i margini di guadagno, la gelata sugli ordinativi sembra far giungere al pettine tutti i nodi in un colpo solo. Alcune antiche debolezze si rivelano fatali. E quando poi le imprese industriali più consistenti ricorrono massicciamente alla cassa integrazione, ipotizzano ristrutturazioni o addirittura avviano chiusure, subito una corona di piccole aziende a cascata ne risentono. Rallentando i volani dislocati sul territorio, s’inceppano le imprese artigianali, ansimano i piccoli esercizi commerciali. I giovani che già costituivano la fascia di popolazione più in sofferenza perché meno garantiti e poco sussidiati nel loro tuffo verso la vita, oggi rischiano di demoralizzarsi definitivamente. Se sono meridionali tendono a trasferirsi al Settentrione, ma già è iniziato il fenomeno inverso, quello della gente del Sud che, perdendo il lavoro al Nord, torna a casa. Mentre un numero crescente di giovani – del Sud come del Nord – guarda oltre il confine nazionale: un dinamismo interessante nella misura in cui non è unidirezionale e obbligato. Sappiamo che resiste da noi una cultura forte del lavoro ma anche dell’impresa: ci si riconosce nella fabbrica e se ne trae vincoli non semplicemente strumentali. I casi di suicidi verificatisi negli ultimi mesi tra i lavoratori minacciati dalla crisi, ma anche tra i piccoli imprenditori, in particolare del Nordest, che nell’impossibilità a far fronte agli impegni nei confronti dei propri dipendenti disperatamente non scorgono alternative diverse dal tragico gesto, che cosa dicono infatti, se non che si è dinanzi ad una coscienziosità tirata allo spasimo, fino ad essere inaccettabilmente indirizzata contro se stessi? Come Vescovi, ci scopriamo talora il terminale ultimo di una filiera di preoccupazioni: nessuno evidentemente ci carica di responsabilità che non possiamo avere, ma tutti o quasi finiscono ad un certo punto per rivolgersi a noi in nome di ciò che rappresentiamo. Ebbene, in questa veste, pur non disponendo di inedite soluzioni tecniche, avremmo un metodo di comportamento da ricordare, quello della responsabilità sociale, da esercitare anzitutto evitando la fuga dai problemi, e illudendosi di trovare riparo dietro a soluzioni unilaterali e drastiche. Nell’economia globalizzata infatti ci sarà sempre un altrove più conveniente, un territorio nel quale i costi sono minori e il ricavo più alto. Ma proprio la genesi di questa terribile recessione conferma che non ha senso ritenere la persona del lavoratore una variabile rispetto agli altri fattori di produzione. Un’impresa realizza davvero la propria missione quando riesce, grazie ad uno sforzo collettivo, ad un impegno ripartito tra i contraenti, a raggiungere i propri obiettivi industriali in concomitanza al benessere delle persone che vi lavorano e dunque del territorio e dell’ambiente in cui essa è inserita (cfr Benedetto XVI, Discorso ai Dirigenti e al Personale dell’Acea, 6 febbraio 2010). Per questo risulta necessario, all’insorgere delle difficoltà, ricercare un dialogo inesausto tra le parti, ed esplorare tutte le possibili soluzioni, avendo come riferimento costante il vero interesse di quanti formano la comunità d’impresa. Le crisi non si superano tagliando semplicemente i posti di lavoro e arrendendosi alla logica della remunerazione di breve periodo, ma anzitutto sforzandosi di immaginare il nuovo, ricercando innovazione di prodotto insieme a strategie di sistema, in una parola perseguendo senza ingenuità ciò che da sempre connota il progresso autentico di un’economia. Siamo testimoni che questo sforzo coscienzioso ispira non pochi, ma è necessario si allarghi e, soprattutto, sia sostenuto da tutti. L’accorato appello che da mille rivoli ci perviene, noi non possiamo – a nostra volta – esimerci dal presentarlo a imprenditori e sindacati, alle associazioni di categoria e alle camere di commercio, agli istituti bancari e alle pubbliche amministrazioni: oggi troppe famiglie sono in ansia. I problemi – chi non lo sa? –sono certamente complessi, per questo bisogna in coscienza non alzare mai bandiera bianca prima di aver esperito tutte, proprio tutte le vie che possono portare ad una ragionevole soluzione. Ciò va fatto territorio per territorio, attraverso la messa in comune delle competenze che lì sono in gioco, così che nessuna situazione critica deperisca nel disinteresse sociale. E per ottenere – allorché tutto è stato tentato – quegli ammortizzatori che permettono di non far sentire alcuno abbandonato dalla collettività. Resistiamo insieme, pensiamo insieme, industriamoci insieme. E insieme, dopo la crisi, ripartiamo più forti. Su un altro fronte la nostra società è chiamata a interrogarsi per tempo, prima che altre situazioni critiche arrivino ad esplosione: quello di una fondamentale strategia di integrazione degli immigrati presenti sul territorio italiano. Dopo i fatti di Rosarno – a cui i confratelli Vescovi della Calabria hanno riservato parole chiare specie sullo sfruttamento criminale cavalcato dalle cosche – altre situazioni sono venute alla ribalta, come ad esempio a Milano, nei fatti incresciosi di via Padova, dopo che c’era stata purtroppo una vittima. Un altro ragazzo successivamente ha trovato una morte atroce, bruciato mentre dormiva in un campo rom della periferia milanese. Da varie parti ormai si riconosce che, tra le opzioni da perseguire avendo per obiettivo l’accoglienza dei nuovi arrivati, non possono più figurare le cosiddette "isole etniche". Noi Vescovi ci eravamo già permessi di dirlo in precedenti occasioni, e torniamo ora a ribadirlo con la fiducia che si voglia finalmente procedere attraverso una mappatura graduata delle diverse situazioni a rischio e si inizi subito ad agire con determinazione e lungimiranza, sapendo che la questione ha innegabili implicanze con la politica immobiliare e quella fiscale. Se si vuole evitare che una determinata zona di città (o del territorio) diventi, anche in breve tempo, un ambiente separato che dà il senso di estraneità a chi ci vive, occorre muoversi per tempo e attrezzarsi mediante un sapiente monitoraggio urbano che consenta per tempo iniziative di ricomposizione, così da mantenere ragionevolmente miscelate le provenienze e sufficientemente coesa la cittadinanza. Ma per questo è indispensabile una presenza sul territorio di figure di riferimento, educatori e assistenti sociali che, insieme a forze dell’ordine, garantiscano interventi preventivi, in grado tra l’altro di far rispettare il diritto alla famiglia che è proprio anche dei poveri. Nello stesso tempo, è indispensabile che dai quartieri e dalle parrocchie si dispieghino esperienze di animazione che possano configurare quella che l’Azione cattolica ha chiamato "una nuova alleanza civile" sul territorio. Nessuna persona ha il diritto di ritenersi superiore ad altre: gli immigrati sono donne e uomini come noi. L’uguaglianza, prima di essere un principio sancito dalla Costituzione, è una consapevolezza attinta da una cultura che ha potuto sedimentarsi grazie anche all’influsso esercitato lungo i secoli dal Vangelo. Con l’occasione vorremmo anche ricordare la difficile situazione in cui versa una serie di strutture sociali e sanitarie di ispirazione cristiana dislocate sul territorio e preziose quanto ad assistenza specifica, specie dei meno abbienti. Chiediamo alle Regioni che il diritto costituzionale alla salute sia effettivamente tutelato collocando le pur necessarie riforme in un contesto di promozione del bene comune. 8. "Vi supplico in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2Cor 5,20): è sul primordiale diritto alla vita che all’alba di questo terzo millennio l’intera società si trova a dover fare ancora l’esame di coscienza, non per caricare fardelli sulle spalle altrui, né per provocare aggravi di pena a chi già è provato, ma per il dovere che essa ha, per se stessa, di guardare avanti in direzione del futuro. E nonostante le apparenze o le illusioni, non le riuscirà di farlo se non schierandosi col favor vitae, sempre e particolarmente quando le condizioni siano contrastate, difficili, incerte. Da qualche tempo, nella mentalità di persone che si ritengono per lo più evolute, si è insediato un singolare ribaltamento di prospettive nei riguardi di situazioni e segmenti di vita poco appariscenti, quasi che l’esistenza dei già garantiti, di chi dispone di strumenti per la propria salvaguardia, valga di più della vita degli "invisibili". Come non capire che si consuma qui un delitto incommensurabile, e che lo si può fare solo in forza di una tacita convenzione culturale che è abbastanza prossima alla ipocrisia? Il rapporto, predisposto dall’Istituto per le politiche familiari a proposito dell’aborto in Europa, illustrato di recente a Bruxelles, forniva dati agghiaccianti: quasi tre milioni di bimbi non nati solo nel 2008, ossia ogni undici secondi, venti milioni negli ultimi quindici anni. E all’orizzonte nulla si muove che possa lasciar intravedere un qualsiasi contenimento di questa ecatombe progressiva, se si tiene conto che l’aborto ha ormai perso l’immagine di una pratica eccezionale e dolorosa, compiuta per motivi gravi di salute della madre o del piccolo, per diventare un metodo "normale" di controllo delle nascite. Intanto già è in incubazione un’ulteriore silente rivoluzione, compiuta grazie alla diffusione di nuovi metodi abortivi sempre più precoci che – variando la composizione chimica, a seconda della distanza di assunzione dal concepimento – hanno come effetto quello di "far scomparire" l'aborto, agendo nel dubbio di una gravidanza in atto che la donna sarà così in grado di coprire meglio, rispetto agli altri ma rispetto anche a se stessa. Se venisse effettuato in casa, magari in solitudine, da problema sociale diventerebbe un atto di alchimia domestica, che non interseca più in alcun modo la collettività, neppure sul residuale versante sanitario. Dalla "pillola del giorno dopo" al nuovo ritrovato, chiamato sui giornali "pillola dei cinque giorni", è un continuum farmacologico che, annullando il confine tra prodotti anticoncezionali e abortivi, ha già indotto ad una crasi linguistica – si chiamano infatti contraccettivi post-concezionali – che sfuma la precisione del momento per l’eventuale feto, e dunque l’esatta contezza dell’atto, minimizzando probabilmente l’urto del gesto abortivo, anzitutto sul piano personale, e poi anche su quello cultural-sociale. L'embrione, se c'è, non potrà annidarsi, e la donna non saprà mai che cosa effettivamente sia successo nel suo corpo, se una vita c’era ed è stata eliminata oppure no. A completamento del fatto, queste pillole tendono a diventare un prodotto da banco, accessibile a tutti, anche alle minori. Diversa, di per sé, la logica della Ru486, che è prescritta quando c’è la certezza di una gravidanza in atto. Nella pratica reale però, l’aborto sarà prolungato e banalizzato, acquisendo connotazioni simboliche più leggere, giacché l’idea di pillola è associata a gesti semplici, che portano un sollievo immediato. E così la "rivoluzione" iniziata negli anni Settanta per sottrarre l’aborto alla clandestinità, al pericolo per la salute delle donne, al loro isolamento sociale, si chiude tornando esattamente là dove era cominciata, con il risultato finora acquisito dell’invisibilità sociale della pratica, preludio di quella invisibilità etica che è disconoscimento che ogni essere è per se stesso, fin dall’inizio della sua avventura umana. Domanda per nulla polemica: che cosa ci vorrà ancora per prendere atto che senza il principio fondativo della dignità intangibile di ogni pur iniziale vita umana, ogni scivolamento diviene a portata di mano? In questo contesto, inevitabilmente denso di significati, sarà bene che la cittadinanza inquadri con molta attenzione ogni singola verifica elettorale, sia nazionale sia locale e quindi regionale. L’evento del voto è un fatto qualitativamente importante che in nessun caso converrà trascurare. In esso si trasferiscono non poche delle preoccupazioni cui si è fatto riferimento, giacché il voto avviene sulla base dei programmi sempre più chiaramente dichiarati e assunti dinanzi all’opinione pubblica, e rispetto ai quali la stessa opinione pubblica si è abituata ad esercitare un discrimine sempre meno ingenuo, sottratto agli schematismi ideologici e massmediatici. C’è una linea ormai consolidata che sinteticamente si articola su una piattaforma di contenuti che, insieme a Benedetto XVI, chiamiamo "valori non negoziabili", e che emergono alla luce del Vangelo, ma anche per l’evidenza della ragione e del senso comune. Essi sono: la dignità della persona umana, incomprimibile rispetto a qualsiasi condizionamento; l’indisponibilità della vita, dal concepimento fino alla morte naturale; la libertà religiosa e la libertà educativa e scolastica; la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna. È solo su questo fondamento che si impiantano e vengono garantiti altri indispensabili valori come il diritto al lavoro e alla casa; la libertà di impresa finalizzata al bene comune; l’accoglienza verso gli immigrati, rispettosa delle leggi e volta a favorire l’integrazione; il rispetto del creato; la libertà dalla malavita, in particolare quella organizzata. Si tratta di un complesso indivisibile di beni, dislocati sulla frontiera della vita e della solidarietà, che costituisce l’orizzonte stabile del giudizio e dell’impegno nella società. Quale solidarietà sociale infatti, se si rifiuta o si sopprime la vita, specialmente la più debole? 9. "Vi supplico in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare da Dio" (2Cor 5,20): vorrei infine pensare queste parole rivolte a quanti concretamente operano sulla scena politica. E per farlo con qualche efficacia torna forse interessante riferirsi a quella linea di studi antropologici che suggeriscono di scorgere qualcosa di sacro in ciò che fonda ogni società, ossia in quel supporto profondo che si trasmette di generazione in generazione, e che dunque va al di là dei singoli individui, consentendo tuttavia agli stessi di vivere insieme. Per questo, l’esplicarsi nel tempo di questo legame – cioè la politica – ha a sua volta in sé qualcosa di nobile che richiede, da parte di chi vi si dedica, un approccio consono. È una visione che non sorprende i cattolici, che infatti sulla scorta del citato Messaggio quaresimale del Papa, sono chiamati quest’anno a chiedersi che cosa sia la giustizia. Essa esprime sempre un profilo di gratuità che supera quel dare a ciascuno il suo, che è il minimo, per renderla espressiva di una opzione incondizionata per il bene non solo dinanzi al bene ma anche dinanzi al male. Così sperimenta la giustizia chi, andando realmente oltre la mera logica distributiva, viene trattato secondo la sua dignità. Si situa qui, in modo cioè non solo contingente, l’idea alta di politica cui ci permettemmo di fare cenno nell’ultimo Consiglio Permanente: una politica capace di rendere onore all’uomo in quanto uomo, sempre cioè figlio di Dio. "Per entrare nella giustizia – avverte Benedetto XVI – è pertanto necessario uscire da quella illusione di auto-sufficienza, da quello stato profondo di chiusura, che è all’origine stessa dell’ingiustizia. Occorre in altre parole […] una liberazione del cuore" (Messaggio cit.). Ecco ciò che, dinanzi a quel che va emergendo anche dalle diverse inchieste in corso ad opera della Magistratura, e senza per questo anticiparne gli esiti finali, noi Vescovi ci sentiamo di dover chiedere a tutti, con umiltà, di uscire dagli incatenamenti prodotti dall’egoismo e dalla ricerca esasperata del tornaconto e innalzarsi sul piano della politica vera. Questa è liberazione dalle ristrettezze mentali, dai comportamenti iniqui, dalle contiguità affaristiche per riconoscere al prossimo tutto ciò di cui egli ha diritto, e innanzitutto la sua dignità di cittadino. Bisogna che, al di fuori delle vischiosità già intraviste e della morbosità per un certo accaparramento personale, si recuperi il senso di quello che è pubblico, che vuol dire di tutti e di cui nessuno deve approfittare mancando così alla giustizia e causando grave scandalo dei cittadini comuni, di chi vive del proprio stipendio o della propria pensione ed è abituato a farseli bastare, stagione dopo stagione. C’è un impegno che, a questo punto, non può non riguardare proporzionatamente tutti, politici e cittadini, e che ciascuno nel proprio ambito è chiamato ad onorare: mettere fine cioè a quella falsa indulgenza secondo la quale, poiché tutti sembrano rubare, ciascuno si ritiene autorizzato a sua volta a farlo senza più scrupoli. Anzitutto non è vero che tutti rubano, ma se per assurdo ciò accadesse, cosa che non è, non si attenuerebbe in nulla l’imperativo dell’onestà. "Si dice – annota il Papa – "ha mentito, è umano"; "ha rubato, è umano"; ma questo non è il vero essere umano. Umano è essere generoso, è essere buono, è essere uomo della giustizia […]" (Lectio Divina con i Parroci cit.). Non cerchiamo alibi preventivi né coperture impossibili: sottrarre qualcosa a ciò che fa parte della cosa pubblica non è rubare di meno; semmai, se fosse possibile, sarebbe un rubare di più. A qualunque livello si operi e in qualunque ambiente. Per i credenti poi, questo obbligo assurge alla dignità di comando del Signore, dunque non si può venir meno. Concludo ricordando un laico cattolico, Vittorio Bachelet, che giusto trent’anni or sono – il 12 febbraio 1980 – veniva proditoriamente ma anche illusoriamente ucciso sulla gradinata della sua Università. Egli diceva: "In questa fase di passaggio, in questa svolta della civiltà alla quale ha voluto rispondere il Concilio Vaticano II nel cui solco fecondo noi abbiamo lavorato e ci impegniamo a lavorare, occorre soprattutto una forza spirituale che testimoni nella povertà dei mezzi umani la sua fedeltà a Cristo, in una carità aperta e libera verso tutti i fratelli facendosi trasparente al Suo volto. Però questo – aggiungeva – non si fa senza dare la propria vita: come ha fatto Padre Massimiliano Kolbe nel campo di concentramento, ma come ciascuno di noi può e deve fare ogni giorno perché un fratello, perché i fratelli abbiano un poco più di vita " (Vittorio Bachelet, Discorsi 1964-1973, a cura di Mario Casella, Ave 1980, pag. 259). Conservando dinanzi agli occhi simili modelli, diamo avvio al nostro confronto per il quale voglio sperare che questa non breve – e me ne scuso – prolusione sia di qualche aiuto. L’ordine del giorno è quello che conosciamo, e su quella base affronteremo i singoli temi, affidandoci all’assistenza dello Spirito Santo, e all’intercessione di Maria Santissima, nostra madre, dei santi Francesco e Caterina, come dei Patroni delle nostre Chiese. Grazie.
23 Marzo 2010 Dalla parte dei piccoli e degli indifesi Riconoscere il male e non farsi incantare "Lasciatevi riconciliare con Dio". Per otto volte, nell’articolata riflessione con cui ha aperto ieri i lavori del Consiglio permanente della Cei, il cardinal Angelo Bagnasco ripete – con le parole dell’apostolo Paolo – questo messaggio semplice e forte. Parla "a cuore aperto" alla Chiesa e al mondo secolare, in questa Italia nella quale comunità cristiana e comunità civile tendono ancora e sempre a coincidere pur in un tempo di spaesamento e di insidiosa divisione. E mostra come riconciliarsi con Dio sia riconciliarsi con la Verità, quella maiuscola che ispira, sprona e regge i singoli credenti e l’intera cattolicità e dalla quale provengono le briciole di verità – a volte apparentemente minuscole, ma mai insignificanti – che dobbiamo saper riconoscere e testimoniare nella realtà quotidiana. È quel che ci insegna Benedetto XVI con la forza di uno "speciale carisma della parola". È quel che "in nome di Cristo" ci tocca, qui e ora, per contribuire a convertire il mondo in una realtà più giusta e più buona, soprattutto con i piccoli e con gli indifesi. Riconciliarsi con Dio e con la verità, oggi significa prima di ogni altra cosa fare i conti senza esitazioni con un male "aberrante" che ha insidiato e può ancora insidiare anche la Chiesa. Una Chiesa che nel servizio educativo alle giovani generazioni dispiega, da sempre e con rinnovato slancio in questa precisa stagione, la sua passione per l’umano e la sua preoccupazione per il bene comune. Il presidente della Conferenza episcopale italiana, in piena consonanza con il Papa, affronta perciò con severa lucidità il tema dei casi di "abusi sessuali compiuti su minori da ecclesiastici". Ricorda la prontezza con la quale i vescovi italiani hanno fatto proprie "già da anni" le direttive della Santa Sede per vigilare, formare al sacerdozio e "fare giustizia nella verità". Registra la tragica diffusione del "fenomeno della pedofilia" in tanti e diversi ambienti delle società moderne (e la relativista, incredibile, tendenza a legittimarlo). E segnala una serena determinazione a non subire "strategie di discredito generalizzato". Trasparenza, pulizia, fermezza e fiducia nella dedizione a Dio e al bene dei sacerdoti italiani sono i cardini di una linea chiara. Fatta di totale "vicinanza" alle vittime e di un giudizio netto: quando di una simile colpa si macchia "una persona consacrata", la gravità morale è "ancora maggiore". E anche un solo caso è di "troppo". Riconciliarsi con Dio e con la verità, significa al tempo stesso riconoscere che c’è un "delitto incommensurabile" che segna la nostra epoca. E da uomini e donne di coscienza i cristiani, come ogni persona retta, non possono distogliere lo sguardo dall’"ecatombe progressiva" dell’aborto. Tre milioni di vite spazzate via nel solo 2008 e nella sola vecchia Europa. Un’immane tragedia sociale che si vorrebbe ridurre, pillola dopo pillola, ad "alchimia domestica", continuando l’atroce inseguimento della "invisibilità" assoluta – addirittura etica – dei bambini non nati. In un tempo elettorale come quello che stiamo vivendo in Italia, con la chiamata alle urne per il governo di ben 13 Regioni, tutto questo guiderà giudizio e voto dei cristiani. Sono, infatti, in lizza candidati protagonisti di un’ostentata militanza abortista – il nome e la storia di Emma Bonino sono un sinonimo di tale drammatica scelta – e autori di programmi segnati da ambiguità e ostilità oggettive ai "valori non negoziabili", quelli cioè sui quali un cattolico non dovrebbe mai fare mercato con chicchessia e di fronte ad alcuna seduzione di potere. Il cardinale Bagnasco, anche qui in richiamata e piena consonanza con Papa Benedetto, sottolinea ancora una volta questi valori cardine: la vita umana dal concepimento alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, la libertà religiosa ed educativa. Ce li offre, frutto di una concezione per la quale la dignità della persona umana è "incomprimibile", come bussola essenziale. Rammentandoci che rappresentano il fondamento di un "complesso indivisibile di beni": dalla "libertà dalla malavita organizzata" al diritto al lavoro, dall’integrazione degli immigrati al rispetto per il creato. Riconciliarsi con Dio e con la verità, significa – insomma – impegnarsi per recuperare il senso del fare società. E del fare politica. Il presidente della Cei ce lo conferma, ricordando a noi tutti che l’"imperativo dell’onestà" non consente alibi e non conosce eccezioni. Il suo è un richiamo concretissimo al "non rubare" (e chi sottrae qualcosa ai beni pubblici "ruba di più", dice il cardinale), ma è contemporaneamente un richiamo alla nostra intelligenza e alla nostra libertà di cristiani e di cittadini. Chi è davvero onesto sa riconoscere il male, e non se ne fa incantare. Marco Tarquinio
23 Marzo 2010 I SACERDOTI "Formare uomini che siano padri e fratelli per tutti" Un itinerario che condivide le fragilità del mondo ma che non non distoglie mai lo sguardo dal cuore di Dio. È così che i formatori, riflettendo sui tema del discernimento vocazionale, dell’identità sacerdotale e del compito educativo legato al ministero presbiterale, descrivono le maggiori sfide poste alla crescita dei futuri preti e religiosi. Parole che rilanciano gli spunti emersi ieri dalla prolusione del cardinale Angelo Bagnasco al Consiglio permanente della Cei. Davanti a chi si sente chiamato "innanzitutto occorre capire chi si ha di fronte. Per conoscere una persona occorre molto tempo, un lungo cammino di condivisione – spiega da parte sua monsignor Massimo Camisasca, superiore generale della Fraternità sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo –. Occorre conoscere il terreno su cui è maturata la sua vocazione e ciò che lo ha portato in Seminario. Capire che cosa cerca, se c’è in lui una domanda positiva oppure se fugge soltanto da altre responsabilità. Introdurre la persona nel silenzio e nella preghiera, poi, come ho cercato di mettere in luce nel mio ultimo libro, Padre, ci saranno ancora sacerdoti nel futuro della Chiesa?, costituisce il cuore stesso della vita sacerdotale – nota Camisasca –. Dobbiamo, inoltre, introdurre la persona in un’esperienza positiva della propria corporeità, delle amicizie, e verificare se è capace di portare i propri limiti affidandosi alla grazia di Dio". Al Pontificio Seminario regionale pugliese di Molfetta proprio il tema delle relazioni umane e dell’affettività è al centro di veri e propri laboratori nei quali i seminaristi sono coinvolti nei primi anni. "Così li aiutiamo a fare chiarezza sulla propria identità – racconta il rettore, don Luigi Renna –. Un compito non facile in una società che propone un’adolescenza prolungata. Con l’aiuto dei mezzi spirituali e delle scienze umane il nostro obiettivo è quello di formare persone in grado di vivere a pieno una paternità spirituale". La vera sfida? "Formare preti in grado di essere tra la gente e tra i nostri giovani – dice don Renna –, diventando per loro padri, fratelli e punto di riferimento. Per questo è necessario passare dalla formazione all’autoformazione in un dialogo continuo tra le dimensioni umana, spirituale, culturale e il tirocinio pastorale". Per tutti l’obiettivo è quello di riscoprire "la bellezza dell’essere creature di Dio", sottolinea dal santuario della Verna il frate minore padre Lorenzo Maria Coli, formatore dei novizi. "Oggi è sempre più difficile parlare di quella definitività legata alla scelta vocazionale – dice il religioso –. In una società che non custodisce più certi valori anche tra coloro che si presentano ai conventi o ai Seminari ci sono molte persone che portano in sé ferite e situazioni drammatiche. Nostro compito è portarle alla serenità e alla libertà guardando al "prototipo" che per tutti è Cristo. La vera sfida, insomma, è di tipo antropologico e non riguarda solo i candidati ai voti o al sacerdozio ma l’intera società". Un cammino che per i religiosi "è arricchito e aiutato dalla vita fraterna", sottolinea Coli. "La formazione di un presbitero ha sempre la stessa sfida davanti – nota il rettore del Pontificio Seminario regionale umbro di Assisi, don Nazzareno Marconi –: formare un adulto maturo e capace di "essere nel mondo, ma non del mondo". Ciò richiede la cura di non sradicare dal contesto umano in cui sono cresciuti i giovani che arrivano in seminario, ma dargli anche le categorie evangeliche per valutare, correggere, proporre uno stile di vita alternativo. Oggi questo lavoro è più impegnativo perché in Seminario giungono ormai giovani di almeno 20/25 anni che si sono già confrontati con il mondo nel bene ed anche nel male. Giungono anche i figli delle famiglie divise, i compagni di scuola di chi è preso dalla droga o da una vita sessualmente squilibrata. Nel cuore di questi giovani c’è il desiderio sincero ed appassionato di rispondere "alle gioie ed alle speranze, alle tristezze ed alle angosce degli uomini d’oggi", ma spesso le loro risposte istintive sono ancora in linea con il pensiero del mondo". Per questo, aggiunge Marconi, anche in un tempo di scarsità di vocazioni è necessario un "discernimento coraggioso". "È fondamentale che cresca una cultura di trasparenza e di collaborazione stretta tra famiglie, sacerdoti, diocesi e seminari – nota infine il rettore di Assisi –. Tutti possono convertirsi, ma nello scegliere un prete la Chiesa dovrebbe sempre preferire il rischio di perdere una vocazione a quello di immettere nel ministero una persona solo apparentemente convertita da una vita passata squilibrata psicologicamente o sessualmente. Il bene delle anime deve prevalere sul desiderio personale di seguire una vocazione, se non ci sono le basi umane che possono dare solido affidamento". Matteo Liut
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CORRIERE della SERA
per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.corriere.it2010-03-23 l'INDICAZIONE del presidente della Cei Ai cattolici. La Bonino: "SONO SOLITE COSE" I vescovi: "Il voto sia contro l'aborto" Bagnasco: "E' un'ecatombe collettiva. La cittadinanza inquadri ogni singola verifica elettorale" l'INDICAZIONE del presidente della Cei Ai cattolici. La Bonino: "sONO SOLITE COSE" I vescovi: "Il voto sia contro l'aborto" Bagnasco: "E' un'ecatombe collettiva. La cittadinanza inquadri ogni singola verifica elettorale" CITTÀ DEL VATICANO - La difesa della vita umana, innanzitutto dal "delitto incommensurabile" dell'aborto in tutte le sue forme, è uno dei valori "non negoziabili" in base al quale i cattolici devono votare nelle prossime regionali. È quanto ha indicato, in sintesi, il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, aprendo i lavori del Consiglio episcopale permanente, il "parlamentino" dei vescovi italiani. La candidata del centrosinistra alle Regionali del Lazio, Emma Bonino, ha replicato che si tratta di "un evergreen. Non mi sembra ci sia nessuna novità, sono le solite cose". VALORI NON NEGOZIABILI - I valori "non negoziabili", ha elencato l'arcivescovo di Genova, sono "la dignità della persona umana, incomprimibile rispetto a qualsiasi condizionamento; l'indisponibilità della vita, dal concepimento fino alla morte naturale; la libertà religiosa e la libertà educativa e scolastica; la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna". Su questo fondamento, ha spiegato, "si impiantano e vengono garantiti altri indispensabili valori come il diritto al lavoro e alla casa; la libertà di impresa finalizzata al bene comune; l'accoglienza verso gli immigrati, rispettosa delle leggi e volta a favorire l'integrazione; il rispetto del creato; la libertà dalla malavita, in particolare quella organizzata". ABORTO, "ECATOMBE PROGRESSIVA" - Durissime le sue parole contro l'aborto, descritto come "un'ecatombe progressiva", che si vuole rendere "invisibile" attraverso l'uso di pillole da assumere in casa. "Che cosa ci vorrà ancora - si è chiesto il presidente della Cei - per prendere atto che senza il principio fondativo della dignità intangibile di ogni pur iniziale vita umana, ogni scivolamento diviene a portata di mano?" "In questo contesto, inevitabilmente denso di significati, sarà bene - ha subito proseguito - che la cittadinanza inquadri con molta attenzione ogni singola verifica elettorale, sia nazionale sia locale e quindi regionale". "L'evento del voto è - ha detto - un fatto qualitativamente importante che in nessun caso converrà trascurare". SULLA PEDOFILIA: TRASPARENZA MA NO A DISCREDITO - Il cardinal Bagnasco ha poi affrontato il tema dei recenti scandali di pedofilia. La Chiesa ha imparato da Benedetto XVI a non tacere o coprire la verità, "anche quando è dolorosa e odiosa"; "questo però non significa subire, qualora ci fossero, strategie di discredito generalizzate" ha affermato il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, nella relazione di apertura del Consiglio episcopale permanente, il "parlamentino" dei vescovi italiani. Il porporato ha anche espresso al Papa la "vicinanza" dell'episcopato italiano: "quanto più, da qualche parte, si tenta di sfiorare la sua limpida e amabile persona, tanto più il popolo di Dio a lui guarda commosso e fiero". "NON SI METTA IN DISCUSSIONE IL CELIBATO" - "Nessun caso tragico" può oscurare "la bellezza" del ministero sacerdotale, ha detto il porporato. "Nè mettere in discussione il sacro celibato che ci scalda il cuore e ispira la vita", ha aggiunto. "Non sentitevi mai guardati con diffidenza o abbandonati, e - ha detto Bagnasco rivolgendosi agli uomini di Chiesa - non scoraggiatevi; siate sereni sapendo che le nostre comunità hanno fiducia in voi e vi affiancano con lo sguardo della fede e le esigenze dell'amore evangelico". Il sacerdote - ha scandito - non è "un disagiato, nè uno scompensato, benchè il clima culturale odierno non faciliti certo la crescita armonica di alcuno. Il sacerdote è un uomo che, non solo nel tempo del seminario, coltiva la propria umanità nel fuoco dell'amore di Gesù". Redazione online 22 marzo 2010(ultima modifica: 23 marzo 2010)
Una mossa obbligata rivolta ai cattolici tentati dai radicali Ma nel discorso del presidente Cei Bagnasco le critiche sono a 360 gradi È difficile leggere le parole del cardinale Angelo Bagnasco ignorando la candidatura di Emma Bonino alla presidenza della Regione Lazio. L’appello del capo dei vescovi italiani alla cittadinanza perché "inquadri con molta attenzione il proprio voto" appare un po’ irrituale: se non altro perché avviene a meno di una settimana dalle elezioni regionali di domenica e lunedì prossimi. E rimanda in modo trasparente alla possibilità che l’esponente radicale scelta dal Pd prevalga su Renata Polverini. Riproporre difesa della vita e no all’aborto come "temi non eludibili", è un segnale di allarme. E forse va letto anche come un altolà a qualche cattolico disorientato. È una conferma implicita dell’eventualità di una vittoria della Bonino. La Cei sembra ritenerla plausibile e la teme: al punto da adombrare un’indicazione di voto che può creare polemiche ed avere contraccolpi imprevedibili. È possibile che aiuti la candidata del centrodestra; ma non si può escludere, per paradosso, l’effetto opposto. Forse Bagnasco l’ha messo nel conto. E vuole ribadire fin d’ora che la Conferenza episcopale vedrebbe la Bonino al vertice del Lazio come un governatore ostile ai principi ed ai valori cattolici. D’altronde, lo stesso Silvio Berlusconi sabato scorso a piazza San Giovanni aveva accennato all’argomento. Adesso, alla sua inquietudine si somma quella dei vescovi: anche perché, per motivi diversi, sia il Pdl che il Vaticano temono un effetto-domino nello spazio di tre anni. Una vittoria della Bonino potrebbe anticipare la perdita del Campidoglio. Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani lo dice. A suo avviso il risultato del Lazio sarebbe "il fatto politico più rilevante. Qui c’è il primo piatto che aspetta poi il secondo. Non si può lasciare Roma in mano al sindaco Gianni Alemanno". Ma se per il Pdl il problema è politico, per Bagnasco riguarda l’approccio culturale delle giunte locali. Quando il presidente della Cei chiede alle Regioni di tutelare "le strutture sanitarie di ispirazione cristiana", tocca uno dei nervi più delicati. Il timore è che un governatore radicale ingaggi un braccio di ferro con gli ospedali cattolici. La Bonino liquida il discorso come una non-novità. Bersani mostra più attenzione, perché contiene critiche a tutto campo, richiamando la politica alla moralità e non delegittimando le inchieste della magistratura. In questo senso, esiste un problema anche per il Pdl, che tende a presentarsi come garante dei valori cristiani. Ma la presa di posizione è un’incognita soprattutto per la Cei. Il rischio è che l’elettorato si pronunci in modo tale da trasformare una sconfitta del centrodestra in Lazio in qualcosa di diverso: magari dia la sensazione che i vescovi abbiano sempre meno voce in capitolo sugli orientamenti dell’opinione pubblica. Probabilmente non è proprio così; né si dovrebbe pensare il contrario qualora la Bonino fosse sconfitta. Di certo, da ieri il Lazio assume, suo malgrado, una rilevanza che non gli aveva dato neppure il pasticcio delle liste del Pdl bocciate dalla magistratura. Massimo Franco 23 marzo 2010
Preti pedofili, Berlusconi elogia il Papa "Da lui una risposta davvero efficace" Il capo del governo: "Benedetto XVI dimostra grande carisma e umiltà, la chiesa spesso è sotto attacco" * NOTIZIE CORRELATE * Il Papa e i casi di pedofilia nella Chiesa: "Ne risponderete a Dio e ai tribunali" (20 marzo 2010) * LA LETTERA: il testo integrale del messaggio inviato ai cattolici irlandesi Il premier commenta la lettera ai cattolici irlandesi inviata sabato dal pontefice Preti pedofili, Berlusconi elogia il Papa "Da lui una risposta davvero efficace" Il capo del governo: "Benedetto XVI dimostra grande carisma e umiltà, la chiesa spesso è sotto attacco" Papa Benedetto XVI e Silvio Berlusconi. Tra loro, Gianni Letta (Ap) Papa Benedetto XVI e Silvio Berlusconi. Tra loro, Gianni Letta (Ap) ROMA - "Benedetto XVI, non diversamente dai suoi recenti predecessori, è spesso chiamato a confrontarsi con situazioni difficili, che diventano motivo di attacco alla Chiesa e perfino alla sostanza stessa della religione cristiana. Il modo in cui Egli risponde è straordinariamente efficace, almeno per ogni persona che non si lasci guidare da sentimenti pregiudizialmente ostili, e lo è per la sua umiltà e sincerità unita alla chiarezza delle ragioni che il Papa mette in campo". È quanto afferma il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in una nota in cui fa riferimento alla vicenda dei casi di pedofilia nella Chiesa e alla risposta diffusa pubblicamente sabato dalla Santa Sede. "La lettera pastorale ai cattolici irlandesi - ha evidenziato il capo del governo - è solo l'ultimo esempio di questo suo grande carisma "VICINANZA E SOLIDARIETA'" - "A nome del governo italiano - aggiunge il premier - voglio esprimere a Benedetto XVI tutto l'affetto, la vicinanza e la solidarietà che ha verso di lui il nostro popolo. La nostra gente, infatti, sa distinguere tra gli errori umani, di cui la storia è piena e gli enormi frutti di bene che sono nati e continuano a nascere dalla radice cristiana". 22 marzo 2010
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REPUBBLICA per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.repubblica.it2010-03-23 In una lettera dei vescovi della Liguria ribadisce la difesa della vita e del matrimonio ma sottolinea che non deve essere separata dalle politiche sociali e sull'immigrazione Elezioni, Bagnasco precisa "Aborta conta come casa e lavoro" Elezioni, Bagnasco precisa "Aborta conta come casa e lavoro" Il cardinale Angelo Bagnasco CITTA' DEL VATICANO - Il rispetto della vita umana e del matrimonio tra uomo e donna, ma anche il diritto al lavoro e alla casa, l'integrazione degli immigrati: sono tutti "valori che non possono essere selezionati secondo la sensibilità personale, ma vanno assunti nella loro integralita". Così si legge in un comunicato dei vescovi della Liguria, primo firmatario il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, in vista del voto delle regionali. La nota tende a correggere in parte quanto emerso dall'appello elettorale lanciato ieri dal presidente della Cei in cui ha chiesto che "il voto cattolico sia contro l'aborto". Ieri Bagnasco ha indicato la difesa della vita, anche dal "delitto incommensurabile" dell'aborto, come un valore "non negoziabile" su cui basare le proprie scelte elettorali. In particolare ha speso durissime parole contro l'uso della pillola abortiva bocciando di fatto i candidati che si sono schierati a favore della Ru486, come Emma Bonino nel Lazio e Mercedes Bresso in Piemonte. Inoltre ha fatto una distinzione tra valori non negoziabili (difesa vita, matrimonio, libertà religiosa ed educativa) su cui "s'impiantano e vengono garantiti - ha detto - altri indispensabili valori", tra cui, appunto, il diritto alla casa e al lavoro, l'integrazione degli immigrati, il rispetto del creato. Nella lettera firmata con gli altri vescovi liguri, Bagnasco oggi ribadisce l'importanza dei valori legati alla bioetica, alla difesa della vita e del matrimonio fra un uomo e una donna ma ha sottolineato che non c'è una gerarchia, e che questi non possono essere divisi, nella valutazione dei cattolici in vista delle prossime elezioni, da quelli relativi ad aspetti sociali come l'accoglienza agli immigrati, il diritto alla casa e al lavoro.
"Si tratta - elencano i vescovi liguri - di valori chiaramente e ripetutamente ribaditi dal magistero conciliare, postconciliare e pontificio e che possono essere sinteticamente richiamati: fra tutti, il rispetto della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale; la tutela e il sostegno della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna; il diritto di libertà religiosa, la libertà della cultura e dell'educazione. E quindi il diritto al lavoro e alla casa; l'accoglienza degli immigrati, rispettosa delle leggi e volta a favorire l'integrazione; la promozione della giustizia e della pace; la salvaguardia del creato. Tali valori non possono essere selezionati secondo la sensibilità personale, ma vanno assunti nella loro integralità". "Solo nel loro insieme esprimono una concezione dell'uomo, della comunità e del bene comune, che costituisce il centro della dottrina sociale della chiesa, e rivelano quel collegamento tra etica della vita ed etica sociale".
(23 marzo 2010) Tutti gli articoli di Politica
Il presidente della Cei apre i lavori del Consiglio episcopale permanente "Sulla pedofilia non abbiamo paura della verità ma diciamo no al discredito" Bagnasco: "La politica sia trasparente votate contro l'aborto e per la vita" Bagnasco: "La politica sia trasparente votate contro l'aborto e per la vita" ROMA - Non ci possono essere "alibi preventivi" o "coperture impossibili" per quei politici o amministratori che rubano, per proprio tornaconto personale, dalla "cosa pubblica", con "grave scandalo dei cittadini comuni". E' severo il giudizio espresso dal presidente della Cei, cardinal Angelo Bagnasco che, aprendo stasera i lavori del Consiglio episcopale permanente, esorta gli uomini di Stato a porre fine "a comportamenti iniqui" e "contiguità affaristiche", e a tornare "sul piano della politica vera". E alla politica arriva un'indicazione precisa anche in tema di voto. "La vita umana va difesa - scandisce Bagnasco - innanzitutto dal delitto incommensurabile" dell'aborto. E questa difesa è uno dei valori "non negoziabili" in base al quale i cattolici devono votare nelle prossime regionali. Pedofilia e Chiesa. Nessuna minimizzazione del problema degli abusi sessuali commessi da sacerdoti ma nessuna accusa generalizzata alla Chiesa. Perché la pedofilia, continua il cardinale, è diffusa ovunque e non solo nella Chiesa. "Nel momento stesso in cui sente su di sé l'umiliazione, la Chiesa - afferma Bagnasco - impara dal Papa a non avere paura della verità, anche quando è dolorosa e odiosa, a non tacerla o coprirla. Questo però non significa subire, qualora ci fossero, strategie di discredito generalizzato". Anche perché i vescovi italiani, continua il cardinale, hanno applicato per tempo le severe norme stabilite dal Vaticano contro i preti pedofili. La condanna, comunque, è netta: "La pedofilia è sempre qualcosa di aberrante e, se commessa da una persona consacrata, acquista una gravità morale ancora maggiore. Per questo, insieme al profondo dolore e a un insopprimibile senso di vergogna, noi vescovi ci uniamo al Pastore universale nell'esprimere tutto il nostro rammarico e la nostra vicinanza a chi ha subìto il tradimento di un'infanzia violata", dice Bagnasco ricordando la lettera del Papa ai cattolici irlandesi. Celibato. I vescovi non vogliono "mettere in discussione il sacro celibato che ci scalda il cuore e ispira la vita". E questo nemmeno sull'onda di campagne di stampa che accostano il celibato a problemi che sono ben diversi. "Essere preti - spiega Bagnasco - è qualcosa di più di una semplice decisione morale, ma una risposta d'amore ad una dichiarazione d'amore". Bagnasco si rivolge agli uomini di Chiesa per incoraggiarli: "Siate sereni sapendo che le nostre comunità hanno fiducia in voi e vi affiancano con lo sguardo della fede e le esigenze dell'amore evangelico. Il sacerdote non è un disagiato, né uno scompensato, benché il clima culturale odierno non faciliti certo la crescita armonica di alcuno. Il sacerdote è un uomo che, non solo nel tempo del seminario, coltiva la propria umanità nel fuoco dell'amore di Gesu'". Crisi economica. ''Le crisi non si superano tagliando semplicemente i posti di lavoro e arrendendosi alla logica della remunerazione di breve periodo, ma anzitutto sforzandosi di immaginare il nuovo, ricercando innovazione di prodotto insieme a strategie di sistema, in una parola perseguendo senza ingenuità ciò che da sempre connota il progresso autentico di un'economia''. Il presidente della Cei torna sulla difficile situazione economica e sulle ricadute occupazioni che comporta. "E' necessario, all'insorgere delle difficoltà, ricercare un dialogo inesausto tra le parti, ed esplorare tutte le possibili soluzioni, avendo come riferimento costante il vero interesse di quanti formano la comunità d'impresa''. Il cardinale si sofferma sui ''casi di suicidi verificatisi negli ultimi mesi tra i lavoratori minacciati dalla crisi". "Sono gesti che dicono che ''si è dinanzi ad una coscienziosità tirata allo spasimo, fino ad essere inaccettabilmente indirizzata contro se stessi''. A subire gli effetti della crisi sono soprattutto i giovani ''che già costituivano la fascia di popolazione più in sofferenza perché meno garantiti e poco sussidiati nel loro tuffo verso la vita'' e che ''oggi rischiano di demoralizzarsi definitivamente'', e i meridionali, che ''tendono a trasferirsi al Settentrione, ma già è iniziato il fenomeno inverso, quello della gente del Sud che, perdendo il lavoro al Nord, torna a casa''. (22 marzo 2010) Tutti gli articoli di Politica
La bandiera vaticana di ADRIANO PROSPERI Le elezioni sono alle porte e la Chiesa italiana ha parlato: o meglio, ha parlato la Cei per bocca del cardinal Bagnasco. La precisazione è d'obbligo: è possibile che una sola voce riesca ad esprimere la quantità e la qualità delle posizioni che si muovono nella realtà del mondo cattolico? Ci si chiede anche se le elezioni amministrative siano un'occasione di tale importanza da imporre che si levi in modo speciale la voce di un'autorità morale e spirituale come la Chiesa nella sua espressione gerarchica, obbligata dalla sua stessa natura a essere al di sopra delle parti . E non intendiamo levare la pur sacrosanta protesta di chi chiede che le autorità ecclesiastiche si astengano dalla lotta politica: anche se si potrebbe - e forse si dovrebbe, visti i tempi - ricordare ai vescovi che ci sono tante occasioni di urgenze grosse e di scandali clamorosi davanti ai quali la loro voce dovrebbe trovare il coraggio di levarsi. Lo stato morale del Paese è disastroso. C'è una corruzione che ha invaso - partendo dall'alto - anche i più remoti angoli dove si dà esercizio del potere. È cosa recentissima la pubblicazione del rapporto annuale dell'agenzia internazionale per il monitoraggio dello stato dei diritti umani nel mondo: e lì abbiamo letto note ben poco confortanti per il nostro Paese. Che cosa può fare un vescovo in questa situazione? I modelli di vescovi che hanno saputo affrontare senza paura i potenti per esercitare il loro compito di pastori di anime e di guide di coscienze non mancano certo nella millenaria storia della Chiesa: il gesto di ripulsa e di condanna di Sant'Ambrogio davanti all'imperatore Teodosio fondò il diritto del vescovo di Milano a guidare il suo popolo. Non sono più tempi così drammatici, penserà qualcuno. Eppure l'appello del cardinal Bagnasco ha un tono di una certa drammaticità. Anche se nel suo discorso sono stati toccati diversi problemi, nella sostanza uno domina su tutti gli altri. Gli elettori sono stati invitati a seguire nella scelta elettorale la bussola della questione dell'aborto.
Ora, la domanda che si pone è se questo è veramente il problema dei problemi, quello per cui sta o cade la società. Si dice che questa funzione è quella che prima di tutte le altre appartiene alla Chiesa: la difesa della vita. Bandiera nobile, se altre ce ne sono. La vita umana va difesa. Su questo siamo tutti d'accordo. Ma allora bisogna essere conseguenti e andare fino in fondo. Prendiamo un caso: sono passati appena pochi giorni da un episodio gravissimo: una madre ha partorito in una stazione di sport invernali dove lavorava, sulla neve dell'Abetone. Aveva un permesso di soggiorno legato al suo posto di lavoro. Ha nascosto il parto, il neonato è morto soffocato. Un'immigrata non può avere figli senza rischiare di perdere il lavoro: è l'effetto di una legge approvata da un governo di centrodestra che si vanta di avere il consenso degli italiani. E l'appoggio della Chiesa a questo governo produce ogni giorno effetti devastanti. Noi non sappiamo quanti siano gli aborti clandestini che si praticano in Italia. Fu per affrontare la piaga dell'aborto clandestino che fu varata la legge 194. E l'effetto si è visto. Era un modo civile di affrontare una piaga antica, ben nota alle autorità ecclesiastiche. Per secoli l'arma della scomunica non ha impedito che nel segreto delle famiglie si eliminassero i figli indesiderati laddove le ferree catene del bisogno imponevano di non aumentare le bocche e di non avere figlie femmine. Allora la scomunica non colpiva i colpevoli della iniqua distribuzione delle risorse. E ancora oggi la condanna ecclesiastica non colpisce coloro che hanno varato quella legge che provoca lutti e dolori, che impedisce alle donne immigrate di avere figli. Né colpisce le forze politiche che non hanno a cuore la tutela della famiglia e che dedicano tutta la loro forza a sottrarre alla legge un presidente del Consiglio invece di varare una riforma fiscale che introduca il quoziente famiglia. Invece basta un normale appuntamento elettorale perché si ripeta ancora lo stanco spettacolo di un'autorità ecclesiastica che si schiera a favore di una parte politica contro un'altra. È un rito vecchio, logorato dall'uso, ripetitivo, facilmente decifrabile. Siamo a una scadenza elettorale resa inquieta dal silenzio della televisione di Stato, assurdamente determinata a lasciare i cittadini in una condizione di dubbio e di perplessità. Sono semplici elezioni amministrative. Non è in gioco la sorte del governo. Si tratta di scegliere i candidati più credibili per affidare loro l'amministrazione di regioni e città. Ci aspettavamo di essere messi in grado di scegliere serenamente sulla base dei profili dei candidati e del contenuto dei loro programmi. Ma di programmi è stato molto difficile parlare. Il confronto è stato oscurato dall'episodio della clamorosa incapacità del più potente partito italiano di mettere insieme una lista di candidati e di farla pervenire alla scadenza dovuta davanti all'ufficio competente. Una manifestazione di piazza ha costruito lo spettacolo televisivo per raggiungere in un colpo solo tutti gli elettori. Ma forse anche questo spettacolo rischiava di non essere efficace. E allora, che altro si poteva fare per dare una mano al Pdl e combattere la candidatura di Emma Bonino nel Lazio? © Riproduzione riservata (23 marzo 2010) Tutti gli articoli di Politica
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L'UNITA' per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.unita.it2010-03-22 La Cei: "Aborto influenzi il voto cattolico". Poi la correzione: contano anche i valori sociali La Chiesa è contro l'aborto, ma non considera i valori sulla bioetica più importanti dei valori sociali: è la sostanza di quanto afferma il cardinale Angelo Bagnasco in una lettera firmata insieme agli altri vescovi della Liguria in vista delle prossime elezioni regionali, diffusa oggi dall'ufficio stampa della Conferenza episcopale italiana. Il "criterio guida per un sapiente discernimento tra le diverse rappresentanze" è l'impegno per tutelare "quei valori che esprimono le esigenze fondamentali della persona umana e della sua dignità", afferma la nota. Più specificamente, si tratta di valori "che possono essere sinteticamente richiamati: fra tutti, il rispetto della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale; la tutela e il sostegno della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna; il diritto di libertà religiosa, la libertà della cultura e dell'educazione. E quindi il diritto al lavoro e alla casa; l'accoglienza degli immigrati, rispettosa delle leggi e volta a favorire l'integrazione; la promozione della giustizia e della pace; la salvaguardia del creato. Tali valori - puntualizzano Bagnasco e gli altri vescovi liguri - non possono essere selezionati secondo la sensibilità personale, ma vanno assunti nella loro integralità". Nell'aprire i lavori del consiglio permanente Cei, ieri, Bagnasco aveva affermato che sul "fondamento" di valori relativi a vita e famiglia "si impiantano e vengono garantiti" gli altri valori, dando l'impressione di una gerarchia di valori letta, dai giornali, come una implicita bocciatura di candidature come quella di Emma Bonino nel Lazio. Ieri la prolusione al Consiglio Cei "Senza dubbio la pedofilia è sempre qualcosa di aberrante e, se commessa da una persona consacrata, acquista una gravità morale ancora maggiore. Per questo, insieme al profondo dolore e a un insopprimibile senso di vergogna, noi vescovi ci uniamo al Pastore universale nell'esprimere tutto il nostro rammarico e la nostra vicinanza a chi ha subìto il tradimento di un'infanzia violata". È quanto ha detto oggi pomeriggio il cardinale Angelo Bagnasco aprendo i lavori del Consiglio episcopale permamente a Roma. "La Lettera papale - ha aggiunto - è interamente pervasa da un accorato spirito di contrizione ed è testimonianza indubitabile di una Chiesa che non sta sulla difensiva quando deve assumere su di sè lo 'sgomento', 'il senso di tradimentò e 'il rimorso per ciò che è stato fatto da alcuni suoi ministri". "Anche nella bufera" ha detto ancora Bagnasco, Ratzinger "è Pietro ed indica la strada, propone a tutti, senza indulgenze, lo scatto in avanti necessario: nonostante l'indegnità, 'i peccati, i fallimenti di alcuni membri della Chiesa, particolarmente di coloro che furono scelti in modo speciale per guidare e servire i giovanì, ecco tutto questo è vero, 'ma è nella Chiesa che voi troverete Gesù Cristo, che è lo stesso ieri, oggi e sempre". I vescovi italiani hanno agito "prontamente" nei confronti del problema della pedofilia nella Chiesa, secondo il presidente della Cei Angelo Bagnasco. "Le direttive chiare e incalzanti già da anni impartite dalla Santa Sede confermano tutta la determinazione di fare verità fino ai necessari provvedimenti, una volta accertati i fatti", afferma il porporato aprendo i lavori del consiglio permanente Cei, il 'parlamentinò dei vescovi italiani. "I Vescovi italiani prontamente ne hanno preso atto e hanno intensificato lo sforzo educativo dei candidati al sacerdozio, il rigore del discernimento, la vigilanza per prevenire situazioni e fatti non compatibili con la scelta di Dio, una formazione permanente del nostro clero adeguata alle sfide. Siamo - aggiunge Bagnasco - riconoscenti alla Congregazione per la Dottrina della Fede per l'indirizzo e il sostegno nell'inderogabile compito di fare giustizia nella verità, consapevoli che anche un solo caso in questo ambito è sempre troppo, specie - ripeto - se chi lo compie è un sacerdote". "Nessun caso tragico" può oscurare "la bellezza" del ministero sacerdotale, ha detto il porporato. "Nè mettere in discussione il sacro celibato che ci scalda il cuore e ispira la vita", ha aggiunto. "Non sentitevi mai guardati con diffidenza o abbandonati, e - ha detto Bagnasco rivolgendosi agli uomini di Chiesa - non scoraggiatevi; siate sereni sapendo che le nostre comunità hanno fiducia in voi e vi affiancano con lo sguardo della fede e le esigenze dell'amore evangelico". Il sacerdote - ha scandito - non è "un disagiato, nè uno scompensato, benchè il clima culturale odierno non faciliti certo la crescita armonica di alcuno. Il sacerdote è un uomo che, non solo nel tempo del seminario, coltiva la propria umanità nel fuoco dell'amore di Gesù". Anche se non si avventura ad indicarli come una reale causa degli abusi sui minori, il presidente della Cei ricorda comunque nella sua prolusione che "l'esasperazione della sessualità sganciata dal suo significato antropologico, l'edonismo a tutto campo e il relativismo che non ammette nè argini nè sussulti fanno un gran male perchè capziosi e talora insospettabilmente pervasivi". "Conviene allora - suggerisce - che torniamo tutti a chiamare le cose con il loro nome sempre e ovunque, a identificare il male nella sua progressiva gravità e nella molteplicità delle sue manifestazioni, per non trovarci col tempo dinanzi alla pretesa di una aberrazione rivendicata sul piano dei principi". "Dobbiamo in realtà tutti - conclude il presidente della Cei - interrogarci, senza più alibi, a proposito di una cultura che ai nostri giorni impera incontrastata e vezzeggiata, e che tende progressivamente a sfrangiare il tessuto connettivo dell'intera società, irridendo magari chi resiste e tenta di opporsi: l'atteggiamento cioè di chi coltiva l'assoluta autonomia dai criteri del giudizio morale e veicola come buoni e seducenti i comportamenti ritagliati anche su voglie individuali e su istinti magari sfrenati". Di fronte agli scandali di pedofilia, la Chiesa ha imparato da Benedetto XVI a non tacere o coprire la verità, "anche quando è dolorosa e odiosa"; "questo però non significa subire, qualora ci fossero, strategie di discredito generalizzate", ha aggiunto il presidente della Cei. Il porporato ha anche espresso al Papa la "vicinanza" dell'episcopato italiano: "quanto più, da qualche parte, si tenta di sfiorare la sua limpida e amabile persona, tanto più il popolo di Dio a lui guarda commosso e fiero". Alle urne considerare il tema dell'aborto "Quale solidarietà sociale è possibile se si rifiuta o si sopprime la vita, specialmente la più debole?". Se lo chiede il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, che invita gli elettori cattolici a tener conto nel voto alle regionali dei temi etici non negoziabili. Questo, spiega, è suggerito anche dall'impiego della RU486 e dalla diffusione di metodiche contraccettive cosidette di emergenza, che preoccupano i vescovi italiani, per i quali in questo modo "l'aborto sarà prolungato e banalizzato", con il risultato di una "invisibilità etica che è disconoscimento che ogni essere è per se stesso, fin dall'inizio della sua avventura umana". "In questo contesto, inevitabilmente denso di significati, sarà bene - scandisce il card. Bagnasco - che la cittadinanza inquadri con molta attenzione ogni singola verifica elettorale, sia nazionale sia locale e quindi regionale". Parole molto chiare, che escludono qualunque sostegno alle candidate del Pd per il Lazio e il Piemonte, che hanno preso posizione pubblicamente a favore dell'impiego della RU486 nelle strutture sanitarie che dipendono - come è noto - proprio dalle Regioni. No agli affaristi in politica In qualche modo il presidente della Cei bilancia però questa indicazione con un richiamo fermo alla moralità della politica e una sorta di apertura di credito verso le inchieste giudiziarie che da mesi occupano le prime pagine dei giornali, sulle quali invece alcuni vescovi hanno espresso riserve (ade sempio gli arcivescovi di Trani e dell'Aquila). "Non è vero che tutti rubano, ma se per assurdo ciò accadesse, cosa che non è, non si attenuerebbe in nulla l'imperativo dell'onestà", sottolinea il card. Bagnasco che affronta il tema della corruzione nella sua prolusione al Consiglio Episcopale Permanente. "Non cerchiamo alibi preventivi nè coperture impossibili: sottrarre qualcosa a ciò che fa parte della cosa pubblica - ricorda il cardinale in merito ai recenti scandali che hanno coinvolto politici di entrambi gli schieramenti - non è rubare di meno; semmai, se fosse possibile, sarebbe un rubare di più. A qualunque livello si operi e in qualunque ambiente". "Dinanzi a quel che va emergendo anche dalle diverse inchieste in corso ad opera della Magistratura, e senza per questo anticiparne gli esiti finali, noi vescovi - scandisce - ci sentiamo di dover chiedere a tutti, con umiltà, di uscire dagli incatenamenti prodotti dall'egoismo e dalla ricerca esasperata del tornaconto e innalzarsi sul piano della politica vera". "Questa - spiega il porporato - è liberazione dalle ristrettezze mentali, dai comportamenti iniqui, dalle contiguità affaristiche per riconoscere al prossimo tutto ciò di cui egli ha diritto, e innanzitutto la sua dignità di cittadino". Preoccupazione per la crisi "La crisi economica sprigiona ora sul territorio i suoi frutti più amari". Lo afferma il presidente della cei, card. Angelo Bagnasco che nella sua prolusione al Consiglio Episcopale Permanente parla di "motivi di contingente quanto seria preoccupazione, dovuti in gran parte alla crisi economica internazionale". "Mi riferisco - spiega - in particolare alla realtà del lavoro: per un popolo abituato a far leva sostanzialmente sulla propria intraprendenza e sulla propria fatica, trovarsi spiazzato sul fronte dell'occupazione è una sofferenza acuta. In non poche aree assistiamo ad industrie che fermano la produzione". "Dove la competizione internazionale già aveva ridotto i margini di guadagno, la gelata sugli ordinativi sembra far giungere al pettine - rileva - tutti i nodi in un colpo solo", mentre "alcune antiche debolezze si rivelano fatali. E quando poi le imprese industriali più consistenti ricorrono massicciamente alla cassa integrazione, ipotizzano ristrutturazioni o addirittura avviano chiusure, subito una corona di piccole aziende a cascata ne risentono". "Rallentando i volani dislocati sul territorio, s'inceppano le imprese artigianali, ansimano i piccoli esercizi commerciali. I giovani che già costituivano la fascia di popolazione più in sofferenza perchè meno garantiti e poco sussidiati nel loro tuffo verso la vita, oggi rischiano di demoralizzarsi definitivamente. Se sono meridionali tendono a trasferirsi al Settentrione, ma già è iniziato il fenomeno inverso, quello della gente del Sud che, perdendo il lavoro al Nord, torna a casa". Mentre "un numero crescente di giovani - osserva sconsolato l'arcivescovo di Genova - guarda oltre il confine nazionale: un dinamismo interessante nella misura in cui non è unidirezionale e obbligato. Sappiamo che resiste da noi una cultura forte del lavoro ma anche dell'impresa: ci si riconosce nella fabbrica e se ne trae vincoli non semplicemente strumentali". Allarmano i vescovi italiani anche "i casi di suicidi verificatisi negli ultimi mesi tra i lavoratori minacciati dalla crisi, ma anche tra i piccoli imprenditori, in particolare del Nordest, che nell'impossibilità a far fronte agli impegni nei confronti dei propri dipendenti disperatamente non scorgono alternative diverse dal tragico gesto, che cosa dicono infatti, se non che si è dinanzi ad una coscienziosità tirata allo spasimo, fino ad essere inaccettabilmente indirizzata contro se stessi". "Rimestare sistematicamente nel fango, fino a far apparire l'insieme opaco, se non addirittura sporco, a cosa serve?". Se lo chiede il presidente della Cei. "Da più parti - rileva Bagnasco - si parla di un declino che sarebbe incombente sul nostro amato Paese. Perchè nei paragoni, che talora si avanzano, dove l'Italia è messa per l'uno o l'altro dei suoi parametri a confronto con altri contesti nazionali, si finisce puntualmente per concludere, magari con un sottile compiacimento intellettuale, che siamo in svantaggio? Si tratta di irriducibile pessimismo o di cronico snobismo? E a sospingere verso analisi fin troppo crudeli, è l'amore per la verità o qualcos'altro di meno confessabile? O è più attendibile invece il fatto che stiamo progressivamente perdendo la fiducia in noi stessi, assumendo con ciò stati d'animo che finiscono col destrutturare la società intera?". "Quella energia morale che avevamo dentro ed ha consentito ad una nazione, uscita dalla guerra in condizioni del tutto penose, di ritrovarsi in qualche decennio tra le prime al mondo, quella forza vitale - domanda il presidente della Cei - che fine ha fatto? Perchè il vincolo che ci aveva legato nella stagione della ricostruzione post-bellica e del lancio del Paese stesso sulla scena internazionale, ed aveva retto nonostante profondi dislivelli sociali e serie fratture ideologiche, è sembrato da un certo punto in avanti non unirci più?". 22 marzo 2010
Bersani su Bagnasco: "194 buona legge, la destra strumentalizza la Chiesa" "Noi rispettiamo il messaggio della Chiesa, mentre non mi sembra che il centrodestra faccia altrettanto: vedo dichiarazioni della maggioranza non rispettose dell'autonomia della Chiesa". Così il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, visitando il mercato settimanale di Latina, ha commentato il dibattito suscitato dalla prolusione del cardinal Bagnasco. Bersani ha anche difeso la legge 194, ricordando che le Regioni guidate dal centrosinistra sono quelle che hanno messo più risorse finanziare per la prevenzione dell'aborto, di cui si occupa la prima parte della stessa legge 104. Al termine di un lungo giro tra le bancarelle del mercato, i cronisti hanno fatto osservare a Bersani che tutti i quotidiani hanno interpretato le parole di Bagnasco come una presa di posizione contro Emma Bonino: io ho un'opinione diversa - ha replicato il segretario del Pd - anche se non sottovaluto che il richiamo sia avvenuto in piena campagna elettorale". "C'è stato - ha affermato Bersani .- il ribadimento delle posizioni della Chiesa in modo marcato sui temi etici e sociali: la risposta tocca ora alla politica ed ai candidati". "Noi pensiamo - ha aggiunto il segretario del Pd - che la legge 194 sia stata una buona legge che ha portato alla diminuzione del 40% del numero degli aborti. Noi siamo impegnati per mettere risorse per applicare la parte preventiva di questa legge, e ricordo che le Regioni guidate da noi hanno speso più di tutte le altre per la prevenzione". Per quanto riguarda poi la pillola Ru486, Bersani ha affermato che essa "è una tecnica meno invasiva, che va applicata nell'ambito della legge 194. Io non penso - ha sottolineato - che la sofferenza della donna sia un elemento preventivo. Prima della 194, infatti, c'era tanta sofferenza ma c'erano anche tanti aborti. Quindi puntare sulla responsabilità della donna è il modo migliore per fermare un fenomeno che colpisce ancora oggi". "Noi siamo aperti - ha quindi detto Bersani - al confronto con la Chiesa sui temi antropologici, anche perchè la Chiesa per prima ha visto i rischi di una manipolazione della vita umana da parte dell'uomo. Anche noi - ha concluso - siamo pensosi su questi temi, e pensiamo che, fatti salvi i grandi principi, occorre lasciare alla politica la possibilità di decidere per il bene comune". 23 marzo 2010
Famiglia, nessun sostegno al costo dei figli "Bisogna ripensare le politiche di sostegno al costo dei figli". Ne è convinto Pierpaolo Donati, curatore del rapporto famiglia 2009 del Cisf, presentato questa mattina a Milano. "Le misure cosiddette di sostegno al costo dei figli sono piuttosto, ancor oggi, specie in Italia, interventi volti a combattere la povertà e la disuguaglianza sociale, che non hanno dato grande prova di efficacia e di equità. Ecco perchè bisogna ripensare alle politiche pubbliche di sostegno al costo dei figli con nuovi criteri". Cioè differenziando le azioni in politiche di emergenza (per le famiglie povere), politiche contro la disuguaglianza sociale e politiche dei costi dei figli nelle famiglie in condizioni di normalità, senza confonderle o appiattirle le une sulle altre. "Per de-mercificare il costo dei figli -spiega Donati - occorre puntare su una società realmente sussidiaria verso la famiglia, adottando un approccio comprendente, che pensi il costo del figlio come espressione di un legame sociale. In effetti in molte parti d'Europa, le istituzioni pubbliche e private più responsabili stanno promuovendo delle nuove politiche sociali che cercano di contrastare le tendenze verso un ulteriore indebolimento della famiglia, senza la quale - nel lungo periodo - le società sono destinate a crolli di civilizzazione, se non ad un vero e proprio collasso. il criterio fondamentale di questa svolta -dice Donati- sta nel sostenere le relazioni familiari e la soggettività sociale della famiglia come tale nella cura dei figli, anzichè nel sollevare gli individui dalle responsabilità verso i figli". Un welfare "amico dei figli" - "un welfare 'amico dei figlì dovrebbe avere le seguenti caratteristiche: essere sussidiario alle famiglie anzichè assistenzialistico; quindi non sostituirsi alla famiglia, ma promuoverne la libertà-responsabilità primaria dei genitori o di chi ne fa le veci; essere societario, cioè regolato in base al principio di sussidiarietà tra le sfere sociali (stato, mercato, terzo settore, famiglie), pensate e agite in collaborazione/reciprocità con le stesse famiglie; essere plurale: ogni intervento dovrebbe avere una pluralità di attori che operano come partner associativi o in rete; essere relazionale: autoregolarsi in base al criterio per cui gli interventi devono incidere sulle relazioni genitori-figli in modo da "capacitarle" anzichè renderle indifferenti o rimuoverle. welfare relazionale significa che il "ben-essere" del figlio consiste primariamente in relazioni valide e significative. Per tale ragione, questo rapporto raccomanda che il nuovo welfare sia designato con il termine "relazionale", appunto perchè nasce per valorizzare le relazioni di cura e di sostegno dei figli in alternativa all'assetto dell'individualismo istituzionalizzato di tipo acquisitivo che punta a migliorare le condizioni materiali a scapito delle relazioni umane". Un welfare non realizzabile senza equità fiscale. italia da suicidio demografico - "il tema dell'equità fiscale verso la famiglia riguarda il fatto che la famiglia sostiene i costi della riproduzione della popolazione, ossia del ricambio fra le generazioni, e dovrebbe essere riconosciuta in questo suo ruolo sociale. Lo Stato italiano, invece, non solo non riconosce questo ruolo alla famiglia, ma penalizza la famiglia che ha figli, e la penalizza quanti più figli ha. S spiega così anche il fatto che le famiglie con figli in Italia siano diventate meno del 50% delle famiglie", dice Donati. "benchè negli ultimi anni si sia cercato di rimediare un po' a questo stato di cose (aumentando leggermente deduzioni e detrazioni fiscali, e altre agevolazioni in tema di irpef e di tariffe), l'Italia rimane in una situazione paradossale, da vero suicidio sociale e demografico dell'intero paese, soprattutto da quando, con i governi dalla metà degli anni 1980, si è iniziato a tagliare le misure universalistiche degli assegni familiari", riconosce Donati. "Il problema -prosegue- non è quello di incentivare ideologicamente o politicamente le nascite, ma di permettere alle coppie di avere i figli che desiderano e di realizzare la giustizia sociale nei confronti di chi, con il proprio reddito individuale, deve mantenere una famiglia, cioè dei figli oltre che, eventualmente, un coniuge che non lavori". Riforma fiscale in tre mosse - per riformare l'equità fiscale, Donati propone una riforma in tre passaggi: "per prima cosa, aumentare gli assegni al nucleo familiare e le detrazioni irpef; poi adottare il sistema delle '"eduzioni familiari corrette", introducendo una deduzione generale sul reddito imponibile, senza preclusioni di categoria, fissando solo un tetto di reddito massimo che, però, dovrebbe essere sufficientemente elevato per escludere solo le famiglie benestanti, alle quali questo trattamento non interessa. In questo modo lo stato lascia alle famiglie, oppure versa per le famiglie più povere, le risorse che sono loro necessarie per crescere i figli. Terzo passo, adottare il "quoziente familiare pesato", strumento maggiormente realizza l'equità fiscale generale per le famiglie (sperimentato con successo in francia) positivo sperimentato da tempo), in quanto adegua l'imposizione fiscale al numero dei componenti e alle loro caratteristiche (età e condizioni fisiche). 23 marzo 2010 |
il SOLE 24 ORE per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.ilsole24ore.com2010-03-22 I vescovi precisano: "Nel voto la tutela di persona e dignità" 23 marzo 2010 I vescovi precisano: "Nel voto la tutela di persona e dignità" "Dai nostri archivi" Bagnasco: "Il no all'aborto è un valore non negoziabile nel voto dei cattolici" Due regioni cruciali, Piemonte e Lazio, e l'appello dei vescovi Berlusconi: "Colpa dei media la disaffezione alla politica" Un federalismo ad personam Cei, Bagnasco ai politici: "Contro la crisi meno litigi"
La Chiesa è contro l'aborto, ma non considera i valori sulla bioetica più importanti dei valori sociali: è la sostanza di quanto afferma il cardinale Angelo Bagnasco in una lettera firmata insieme agli altri vescovi della Liguria in vista delle prossime elezioni regionali, diffusa dall'ufficio stampa della Conferenza episcopale italiana. Il "criterio guida per un sapiente discernimento tra le diverse rappresentanze" è l'impegno per tutelare "quei valori che esprimono le esigenze fondamentali della persona umana e della sua dignità", afferma la nota. Più specificamente, si tratta di valori "che possono essere sinteticamente richiamati: fra tutti, il rispetto della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale; la tutela e il sostegno della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna; il diritto di libertà religiosa, la libertà della cultura e dell'educazione. E quindi il diritto al lavoro e alla casa; l'accoglienza degli immigrati, rispettosa delle leggi e volta a favorire l'integrazione; la promozione della giustizia e della pace; la salvaguardia del creato. Tali valori - puntualizzano Bagnasco e gli altri vescovi liguri - non possono essere selezionati secondo la sensibilità personale, ma vanno assunti nella loro integralità". Nell'aprire i lavori del consiglio permanente Cei, ieri, Bagnasco aveva affermato che sul "fondamento" di valori relativi a vita e famiglia "si impiantano e vengono garantiti" gli altri valori, dando l'impressione di una gerarchia di valori letta, dai giornali, come una implicita bocciatura di candidature come quella di Emma Bonino nel Lazio. Sacconi: "Il Pdl ha posizioni coincidenti con quelle della Chiesa" "Il Pdl nella stragrande maggioranza ed il governo all'unanimità hanno posizioni inequivoche sui temi antropologici che sono coincidenti con quelle della Chiesa". Lo afferma il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, sulle dichiarazioni della Cei. Sacconi definisce la posizione del governo: "Una laicità adulta". Alla domanda se i presidenti di Regione possano avere voce in capitolo su temi come la vita umana, Sacconi risponde: "Sì perchè le Regioni hanno responsabilità di governo del sistema socio sanitario". Secondo Bersani il centrodestra "strumentalizza le parole di Bagnasco" Anche il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, è tornato sulle dichiarazioni fatte ieri dal presidente della Cei in vista delle regionali ribadendo l'apertura al dialogo con la Chiesa e accusando il centrodestra di strumentalizzare le parole di Bagnasco. A Latina per alcune iniziative elettorali, Bersani spiega di non ritenere il richiamo di Bagnasco rivolto contro Emma Bonino e aggiunge: "Non sottovaluto che questo richiamo avviene in piena campagna elettorale e ribadisce le posizioni della Chiesa in modo più marcato sia sui temi etici che sociali, credo che la risposta tocchi ai candidati". Il segretario del Pd ha ribadito poi che "la legge 194 è stata una buona legge, ha fatto ridurre gli aborti del 40% e le regioni che hanno speso di più per la prevenzione sono state proprie le nostre", inoltre "la pillola RU/486 è una tecnica meno invasiva che va applicata secondo criteri affidati a chi ne ha la responsabilità". IL PUNTO / Due regioni cruciali, Piemonte e Lazio, e l'appello dei vescovi (di Stefano Folli) Berlusconi rilancia su aliquote e presidenzialismo VISTI DA LONTANO / La "deriva presidenzialista" alla prova delle regionali (di Elysa Fazzino) 23 marzo 2010
Due regioni cruciali, Piemonte e Lazio, e l'appello dei vescovi 23 marzo 2010 Quanto peserà l'astensione nel voto regionale lo sapremo ormai solo lunedì sera. Può darsi che con la manifestazione di Roma Berlusconi sia riuscito, secondo le intenzioni, a rinsaldare il suo popolo, o meglio il segmento deluso e distratto, offrendogli una buona ragione per andare alle urne. Ma è anche possibile che la magia non riesca perché il ricorso alla piazza è una scappatoia fin troppo contraddittoria per chi governa da anni. Vedremo. Quel che è certo, sono soprattutto due le regioni il cui risultato è in grado di determinare riflessi politici nazionali: Piemonte e Lazio, entrambe in bilico. Altrove il dato elettorale non sarà cruciale: in qualche caso perché l'esito appare scontato (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana), in altri perché il rilievo del duello è minore (Basilicata, Umbria, Calabria). Ma a Torino e a Roma ogni voto peserà. E sarà valutato nei suoi effetti dirompenti. In Piemonte l'eventuale vittoria di Roberto Cota su Mercedes Bresso sarebbe un successo della Lega assai più che del Pdl. Per Umberto Bossi equivarrebbe alla quadratura del cerchio: l'impronta del Carroccio sull'intero arco alpino, specie se anche in Lombardia, dove si affermerà Formigoni, il partito leghista dovesse raggiungere percentuali ragguardevoli. La vittoria di Cota darebbe al leader una carta decisiva da far valere al tavolo della maggioranza. Ed è chiaro che l'amicizia e la lealtà ostentate da Bossi verso Berlusconi non significano che la Lega vorrà tenere un basso profilo nei prossimi tre anni di legislatura. Proprio il contrario. La conquista del Piemonte modificherebbe i rapporti di forza nel centrodestra. Specie se il Pdl dovesse perdere il Lazio, altra regione chiave. Qui l'ipotesi di una vittoria di Emma Bonino è più solida oggi di quanto non fosse all'inizio della campagna. E una sconfitta di Renata Polverini rischierebbe di innescare una sorta di corto circuito negli assetti di potere del Pdl. Certe debolezze già oggi evidenti non potrebbero più essere mascherate. Ma la Bonino presidente provocherebbe sussulti anche all'interno del Partito democratico. Sarebbe la dimostrazione (come Vendola in Puglia) che una classe politica innovativa, estranea al vecchio ceto ex Ds-Pds-Pci, si va imponendo al di fuori delle regioni "rosse" tradizionali. Ecco perché la posizione espressa ieri dalla Conferenza episcopale, attraverso il presidente Bagnasco, ha un impatto politico considerevole. Chiedere ai cattolici di esprimere "un voto contro l'aborto e per la vita" significa di fatto reclamare una scelta contro Emma Bonino e Mercedes Bresso. È vero, i vescovi hanno toccato altri temi (dalla moralità nella vita pubblica all'immigrazione), nel quadro di una riflessione generale. Ma non si può negare che i due candidati del centrosinistra nelle due regioni decisive per gli equilibri nazionali sono i destinatari immediati dell'appello anti-aborto. Le idee della Bresso e della Bonino sono note e inequivocabili. Ora è difficile dire quanto la Cei influenzerà il voto cattolico nel Lazio e in Piemonte, dove certo non mancano i cosiddetti "cattolici adulti", quelli cioè che non seguono i consigli delle gerarchie. Rispetto al passato l'influenza diretta è senza dubbio molto minore. Ma la Chiesa ha espresso una posizione forte ed esplicita, suscettibile come tale di incidere nel risultato finale. Per Cota e la Polverini è comunque un'ottima notizia.
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